Dal 12 gennaio dalla vetrina della parte destra della galleria BUILDING il pubblico potrà incontrare i lavori dei didici artisti coinvolti nel progetto annuale di BUILDINGBOX, che per il terzo anno consecutivo dà vita a una mostra tematica che si sviluppa in 12 mesi.
“La forma dell’oro” è il progetto espositivo del 2021 ed è a cura di Melania Rossi, che, come ci raccontato nell’intervista qui sotto, indaga il rapporto tra arte contemporanea e oro attraverso lavori di Paolo Canevari (le cui opere saranno vivibile fino al 10 febbraio), Emiliano Maggi, Rä Di Martino, Antonello Viola, Jan Fabre, Sophie Ko, Giuseppe Gallo, Delphine Valli, Josè Angelino e di altri tre artisti che saranno svelati in futuro.
«BUILDINGBOX è il progetto espositivo inaugurato nel settembre 2018, situato all’interno di una delle vetrine di BUILDING che affacciano su via Monte di Pietà, visibile 24 ore su 24, notte e giorno, senza dover entrare all’interno della palazzina, nonostante ne faccia effettivamente parte. Attraverso la sua collocazione riflette l’obiettivo per cui è stata creato: costruire un luogo indipendente caratterizzato da un progetto autonomo rispetto alla programmazione delle mostre che BUILDING ospiterà durante l’anno. BUILDINGBOX si basa su un’estensione temporale e ospiterà una serie di opere, legate fra loro da un fil rouge che si svilupperà nel tempo, invece che nello spazio.
BUILDINGBOX è uno spazio fisico, non una semplice vetrina, è delimitato da muri bianchi e vetro, una soluzione espositiva inedita che rappresenta un’interruzione dell’ordinario concetto dell’esporre, in cui contenuto e contenitore sono strettamente connessi, dando vita a un dialogo costante fra forma e contenuto. Una relazione che si attua anche fra l’interno e l’esterno, essendo questo un luogo fruibile 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Questa vetrina ospiterà diversi artisti e designer, cicli di mostre e progetti temporanei, offrendo un approfondimento di tipo curatoriale su molteplici tematiche artistiche», ha spiegato la galleria.
«L’idea di una mostra sull’uso dell’oro nell’arte contemporanea è nata oltre un anno fa mentre mi trovavo a Spoleto per un sopralluogo. Da una finestra dello spazio espositivo in cui mi trovavo vedevo il meraviglioso mosaico dorato in stile bizantino che orna la facciata del Duomo. Osservandolo mi sono tornate alla mente sensazioni che appartenevano al passato dei miei studi di storia dell’arte a Firenze, alle giornate passate alla Galleria dell’Accademia, che vanta la più importante e vasta collezione al mondo di tavole su fondo oro. I fondi oro allestiti su tutto il primo piano dell’edificio avevano su di me un fascino strano, mi sembravano un’installazione immersiva, mi suggerivano un’idea di modernità che andava cercata con ostinazione all’interno di ogni opera, apparentemente così lontana nel tempo da sembrare inconciliabile con qualunque idea di contemporaneità. In realtà ho sempre trovato più punti di contatto con l’arte contemporanea studiando l’arte medievale che quella moderna, soprattutto nel ricorso al simbolo e all’archetipo, che non hanno bisogno di narrazione. L’oro è un medium che ben rappresenta questi punti di contatto tra antico e contemporaneo. Quello che trovo interessante è il fatto che l’oro nella tradizione rappresentativa è definito da una polifonia di opposti: divino/demoniaco, spirituale/materiale, perfezione/corruzione. Lo spettro della sua potenza simbolica è tale da arrivare persino ad alludere all’assenza, alla negazione dello spazio-tempo. Dunque contiene già al suo interno il proprio ribaltamento. L’arte contemporanea opera continui ribaltamenti ed è quindi interessante vedere come gli artisti di oggi indagano un elemento così complesso.
Il progetto a Spoleto non è mai andato in porto, ma da lì ho iniziato a esplorare l’uso del metallo nobile da parte degli artisti contemporanei, che ha portato a questo progetto per BUILDINGBOX.
La mostra “La forma dell’oro” sarà fatta di eccezioni, perché le opere non saranno tutte di oro vero, molte vi alluderanno con modalità e materiali disparati. Insomma, qui sarà tutto oro ciò che luccica».
«Mi piace il fatto che siano 12 artisti, per 12 mesi, inoltre (per un caso) il progetto inaugurerà il 12 gennaio. Il dodici è un bel numero, un numero importante. Il primo dei “dodici apostoli dell’oro” sarà Paolo Canevari, seguiranno poi Emiliano Maggi, Rä Di Martino, Antonello Viola, Jan Fabre, Sophie Ko, Giuseppe Gallo, Delphine Valli, Josè Angelino…mi fermo qui perché non voglio svelarli tutti. Ho scelto gli autori di cui mi interessano ricerca e pratica artistica, con molti di loro ho già lavorato in occasione della scorsa Biennale di Venezia e, più recentemente, per la mostra “Real Utopias” nell’ambito di Manifesta a Marsiglia. Con Jan Fabre avevo portato la mostra “Oro Rosso” al Museo di Capodimonte, dove erano esposte delle sue bellissime sculture in oro 24 carati.
Pian piano ho risalito la china del rapporto di questi artisti con l’oro, che curiosamente ho trovato già presente nella loro produzione. Dal lustro usato da Emiliano Maggi in ceramica, alla foglia oro applicata da Antonello Viola su vetro, fino alla doratura nelle sculture in bronzo di Jan Fabre, nessun artista può prescindere dall’aura mistica che queste tecniche antiche ancora possiedono.
Una cosa interessante dell’oro è che è sia un materiale che un colore, e il suo aspetto muta tantissimo in base alla luce. Le installazioni nella vetrina BUILDINGBOX saranno visibili giorno e notte, e dunque saranno sempre diverse».
«I Golden Works esposti in BUILDINGBOX fanno parte del ciclo Monumenti della memoria, sviluppato dall’artista tra il 2011 e il 2012 per rispondere in maniera radicale all’inquinamento visivo quotidiano a cui è sottoposto anche il territorio dell’arte. In questi monocromi oro, Canevari si allontana da qualsiasi autocompiacimento, affidando ad un artigiano la lavorazione manuale a foglia oro, tecnica antichissima usata sia in Europa che in Asia. Le silhouette di questi lavori richiamano le antiche pale d’altare in cui però non viene rappresentata nessuna storia di santi, nessuna parabola, lo sguardo non ha alcun appiglio tranne il lieve riflesso della nostra stessa immagine; sembra quasi un’eco pittorica, il ricordo del quadro senza la necessità di descriverlo.
Canevari sceglie di non partecipare alla Babele di immagini contemporanea ma cerca il contenuto dell’opera nell’assenza di immagine, sembra voler evocare lo spirito delle cose in un dorato silenzio visivo. Quello che potrebbe sembrare un paradosso, rende invece l’opera libera da condizionamenti e messaggi precostituiti, in quest’opera la forma diventa contenuto e la materia – l’oro – dà essa stessa il senso. Privata di informazioni, la tavola a foglia oro ci obbliga a esercitare la nostra fantasia, diventa uno spazio di libertà dove rievocare mentalmente immagini, esperienze, sogni.
Dice Canevari: “La mia ambizione è quella di far scomparire, come un’illusionista, il possesso fisico dell’arte, e riportare l’arte alla sua essenza spirituale, all’elevazione del pensiero come opera”».
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