Da oggi, per le prossime due settimane, nelle vie di Prato potrete incontrare il nuovo progetto di affissioni di grandi dimensioni tratte dal progetto fotografico di Jacopo Benassi (1970, La Spezia), The Belt, dedicato al distretto tessile pratese in collaborazione con l’Archivio Manteco, che anticipa “Vuoto”, a cura di Elena Magini, la prima personale museale del fotografo che sarà visitabile dall’8 settembre al primo novembre al Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci.
La campagna di affissioni risponde al desiderio del museo di varcare i suoi confini fisici e cercare un rapporto dinamico e diretto con la comunità cittadina: «attraverso lo sguardo del fotografo e i suoi scatti dal forte contrastato bianco e nero esplosi su manifesti pubblicitari, il Centro Pecci si riversa negli spazi della città rendendo visibile una delle anime di Prato ai cittadini», si legge nel comunicato stampa.
«Il progetto The Belt è dedicato a Prato, città d’arte e centro riconosciuto dell’industria tessile che si contraddistingue per la fitta filiera di piccole e grandi aziende d’eccellenza capaci di lavorare grandi quantità di tessuti dismessi provenienti da ogni parte del mondo producendo, attraverso procedimenti che mixano le più alte tecnologie e i vecchi saperi artigianali, materiale rigenerato di primissima qualità. I tessuti, i macchinari, i ritratti degli artigiani e le loro mani che lavorano, le persone colte in momenti di pausa o nell’atto di consumare pasti: le immagini di Jacopo Benassi mescolano elementi prosaici a immagini sacre (il pulpito di Donatello per il duomo di Prato, i dipinti di Palazzo Pretorio) per mettere in relazione carnalità e materialità dell’umanità operosa che contraddistingue Prato, alle icone della sua storia e alla tradizione artistica che traspare nei luoghi della città. Il titolo del progetto, The Belt, si rifà alla Sacra Cintola, preziosa reliquia della Madonna conservata nella cattedrale di Prato quale elemento identitario della città», ha spiegato il Centro Pecci.
Dall’8 settembre al Centro Pecci sarà aperta al pubblico la mostra “Vuoto”, prima personale in un museo dedicata a Jacopo Benassi a cura di Elena Magini: «il museo di Prato offrirà poi uno sguardo completo sul lavoro potente, personalissimo, privo di mediazioni, del fotografo spezzino».
All’rganizzazione della mostra hanno contributo la galleria Francesca Minini e l’Archivio Manteco.
«Dallo studio dell’artista parzialmente ricreato all’interno della mostra nelle sale del Centro Pecci, il progetto espositivo si sviluppa in una spazialità dilatata che accoglie alcune delle serie e dei lavori più significativi dell’autore, oltre ad alcune opere inedite legate al suo interesse per l’editoria e la produzione di libri, come ad esempio la serie The Belt.
I soggetti di Benassi sono i più disparati, dall’umanità che abita la cultura underground e musicale internazionale (a partire dall’esperienza del club Btomic, gestito dallo stesso fotografo con alcuni amici) a ritratti di modelle, attrici, artisti, stilisti pubblicati nelle più importanti riviste italiane, fino all’indagine sul corpo, che varia dalla documentazione autobiografica di incontri sessuali, allo sguardo intenso sulla statuaria antica e che può essere considerato il “filo rosso” della sua produzione pantagruelica.
Un posto speciale nell’opera di Benassi è occupato dall’autoritratto, spesso legato al suo percorso performativo: la sperimentazione sulla performance, sua o di altri, si lega costantemente alla musica e viene sempre mediata dall’immagine fotografica, soggetto e oggetto della sua ricerca.
Il titolo della mostra – “Vuoto” – richiama la specifica sensazione dell’autore rispetto alla sua produzione, un desiderio di mettersi a nudo, tirando fuori da sé tutto, in un percorso di auto-esposizione pubblica.
In questa mostra il fotografo si concede interamente allo spettatore, consegnando il suo studio, i suoi strumenti, il panorama creativo che l’accompagna nella gestazione del lavoro, l’insieme degli scatti che danno vita a un’indagine ventennale sui temi dell’identità, della notte, del lavoro.
Un atto di apertura verso l’esterno che costituisce un punto zero nella carriera dell’artista e, di contro, una possibile rinascita», ha proseguito il museo.
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