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A Siena, al Complesso Museale Santa Maria della Scala, inaugura oggi, 20 luglio, la personale di Lorenzo Marini “Di Segni e di Sogni” (fino al 20 ottobre), a cura di Luca Beatrice. «Non si tratta ha spiegato l’organizzazione – di una mostra tradizionale ma di un viaggio itinerante tra cinque installazioni, l’ultima delle quali nella Piazza del Campo. Il progetto ha come tema centrale l’interpretazione creativa delle lettere liberate, nelle loro più disparate dimensioni linguistiche. […] Una mostra che celebra il percorso artistico del creatore della corrente TypeArt, liberando definitivamente le lettere».
Il curatore Luca Beatrice scrive: «L’unione delle lettere forma parole, dunque significati che mutano a seconda dell’idioma. All’origine però sono segni, immagini. Su questo concetto apparentemente semplice, eppure fondativo nella storia dei linguaggi lavora Lorenzo Marini. Utilizzare gli elementi prima della comunicazione e trasformarli in fantasmagoria visiva attraverso associazioni cromatiche indotto. Nell’arte di Marini siamo noi a scegliere, a entrare nel meccanismo tentando in qualche modo di ricomporlo e di dare senso a un’esperienza. Elegante, divertente, esplosiva, riflessiva, la sua poetica ridisegna e ridipinge i confini dell’universo, ponendo l’attenzione sulle regole del comunicare, dove lo sforzo è superarle alla ricerca di nuovi alfabeti, misteriosi e infantili, concettuali e ludici».
Le parole di Lorenzo Marini
La mostra “Di Segni e di Sogni” al Complesso Museale Santa Maria della Scala – si legge nel comunicato stampa – è parte di un progetto espositivo itinerante che si conclude a Siena dopo le mostre a Venezia presso la Fondazione Bevilacqua La Masa, al Gaggenau hub di Milano e la personale ancora in corso a Los Angeles presso l’Istituto Italiano di Cultura. Quali sono le peculiarità della mostra a Siena?
«Sono mostre diverse. La mostra di Siena è dedicata a quella che chiamerei la pittura tradizione, cioè la tela come supporto e la bidimensione, e a installazioni immersive. La differenza principali con la precedenti mostre che ho fatto a Los Angeles, a New York, a Venezia e altri luoghi, è che questa è più, in francese si direbbe, événementielle, un termine che non si può tradurre, si potrebbe dire, simile a un evento. A fare la differenza è stato il fatto di aver trovato, qui, un’amministrazione e un sindaco che mi hanno dato totale fiducia, hanno fatto un investimento e quindi abbiamo avuto le risorse per creare queste quattro installazioni, che rappresentano un viaggio. Il tema centrale di questa mostra è, infatti, il viaggio nell’alfabeto, che lascia la bidimensionalità e diventa tridimensionale».
Tu lavori, come si legge nel comunicato stampa, sull'”interpretazione creativa delle lettere liberate, nelle loro più disparate dimensioni linguistiche”, che rapporto c’è tra la tua carriera di creativo e questa ricerca?
«Sono un link con il mio lavoro di direttore creativo, grafico e designer. Alla base di tutto c’è la creatività, come minimo comune denominatore c’è l’idea. Quello che amo è applicare le mie idee, poco importa se è in un manifesto, in una scultura o in un’architettura. Il 90% dell’arte contemporanea si basa sul come, su esecuzioni diverse dei soliti temi, pochi sono gli artisti che creano davvero un cambiamento. Mi interessa portare avanti delle idee. Quando mi chiedono come ho fatto una cosa rispondo che non è importante come, ma perché l’ho fatta».
Nel 2016 hai fondato il movimento TypeArt. Come lo vedi oggi alla luce dei suoi cinque anni di vita?
«Per decenni ho dipinto senza mostrare mai niente a nessuno e facevo mappature spaziali usando solo il bianco. Negli ultimi sette anni i primi spazi sono diventati lettere e quindi ho creato un primo alfabeto, poi un altro per Los Angeles e uno per New York, poi ho cominciato con le installazioni da Alpha Cube. In questo modo ho aperto progressivamente il mio concetto spaziale verso una funzione e l’idea è stata quella di liberare le lettere dalla schiavitù: quando cinque anni fa ho scritto il manifesto della TypeArt, ovvero il Manifesto per la liberazione delle lettere volevo prendere questi semplici segni su fondo bianco e celebrare la loro bellezza. La calligrafia in Occidente non è un’arte, in Oriente sì, secondo me è importante riprendere il contatto con questi umili segni e farli diventare visivi, un po’ come le emoticons: le emoji sono molto più che delle faccine, sono un’interpretazione emotiva del nostro messaggio, lo stesso lo fa ogni mia lettera, che diventa un marchio, una micro-storia. Progressivamente ho introdotto il colore, e dopo, come si può vedere in questa prima grande mostra, le installazioni, abbracciando la cultura pop».
Può anticiparci alcuni lavori che vedremo nel percorso espositivo?
«Dentro gli spazi storici del Complesso Museale Santa Maria della Scala ho creato l’arte più contemporanea possibile: ho ingrandito, ad esempio, una tastiera fino a 15 metri per 6 e l’ho resa coloratissima, si può fare una passeggiata tra i cubi che rappresentano i tasti, poi c’è un cubo d’acciaio in cui sono poste delle “lettere narcise”, anch’esse d’acciaio, che si specchiano, c’è, inoltre, una pioggia di 7mila lettere trasparenti che pendono dal soffitto, legate al fatto che in questi sette anni ho creato quasi 200 type nuovi e voglio che ogni lettera sia diversa».
Oltre che a Siena, dove potremo vedremo i tuoi lavori lavori nei prossimi mesi?
«Sto preparando una mostra a Macerata, a Palazzo Bonaccorsi, per il 15 settembre. Si tratta sempre di progetti diversi, in ogni spazio racconto una storia nuova». (SC)