Categorie: Opening

L’universo digitale e il corpo presente

di - 21 Settembre 2017
Il nostro corpo nel nuovo millennio è sempre più contraddistinto da un processo di ibridazione e di estensione con le tecnologie digitali (e di simultanea accentuazione dei suoi connotati simbolici). Se è vero – come scrive Nicholas Negroponte – che tutti noi siamo diventati “esseri digitali”, “fenomeni dell’informazione”, questa rivoluzione oltre a trasformare il nostro modo di comunicare, di immaginare, ha ormai invaso anche la nostra anatomia, fino negli interstizi più reconditi dei cinque sensi. Per il momento con dispositivi wearable, quindi “indossabili” (a partire dalle auricolari), in un prossimo futuro con veri e propri innesti sotto la superficie della nostra epidermide. Già oggi, peraltro, sono tutt’altro che residuali gli interventi con protesi artificiali sul corpo e, con essi, le possibilità di manipolare l’esistenza umana. Prima o poi, saremo un po’ tutti uomini-cyborg, integrati con l’intelligenza artificiale delle macchine. Probabilmente attraverso “neural laces”, cioè microscopici lacci neurali. Per utilizzare un’immagine sicuramente ancora dissacrante, ma un domani non necessariamente poco verosimile, assomiglieremo in un certo senso a quell’Iron Man nei film interpretati da Robert Downey Jr. D’altronde, si sa, l’evoluzione della specie umana non è lineare e l’innovazione è il più forte propulsore del cambiamento. Insomma, stiamo passando da un’evoluzione naturale a un’evoluzione artificiale della nostra specie.
E qui si palesa la funzione sociale dell’arte contemporanea. Che già da tempo ha fatto propri i processi e gli strumenti dell’upgrade tecnologico, per sviluppare una particolare conoscenza, una conoscenza “vivente”, che dà accesso ai paradossi di questa nuova antropologia, quella dell’uomo-cyborg. Dove i confini tra natura e artificio, tra reale e virtuale, si presentano “molli”, “flessibili”, sono “Soft Boundaries”, sospesi in quel territorio liminare, che assomiglia a una membrana impalpabile, tra il digitale e il materiale. In questo alveo si colloca la ricerca di Rowena Harris (Norfolk-UK, 1985) che muove da alcune, ineludibili domande. Che tutti noi ci siamo fatti, o ci faremo davvero a breve. Le tecnologie quotidiane di cui disponiamo sono in grado di alterare la nostra percezione del tatto? La nostra percezione della materialità? La nostra percezione su dove risiedono i limiti dei nostri stessi corpi? Domande che riecheggeranno da questo pomeriggio nelle sale di The Gallery Apart.
Dove la serie “Pelts” composta da sottili superfici in rame, accompagnata da un film nel piano interrato anch’esso intitolato “Pelt”, è incentrata sulla resa digitale della pelle, dove la pelle in modellazione e stampa 3D (colloquialmente chiamata “pellame” dai programmatori) non è nient’altro che pura superficie. La profondità è resa in modo illusorio come pixel in una foto jpeg, e avvolta come una coperta su un formato digitale 3D. Occorre ridare corpo all’immagine, sembra avvertirci Rowena Harris, è necessario raggiungere un dinamico equilibrio tra il sublime tecnologico dell’era dell’informazione e il nucleo intangibile della natura dell’uomo.
Mentre nella serie di sculture “At the Edge of the Frame”, composta da scarpe in calcestruzzo, l’artista ha applicato l’azione digitale del “cropping”, comune a Photoshop, Instagram e simili, alla forma materica. Una linea netta disseziona ciascun paio di scarpe, suscitando così una forma che gioca con la nostra comprensione familiare dell’immaginario digitale, mentre con lo stesso gesto rivela l’interno in cemento delle sculture e l’”essere” brutale della materia.  
L’obiettivo che si prefigge la Harris, quello cioè di conseguire un coinvolgimento sensorio più ampio lungo il percorso espositivo romano, mi sembra ben conseguito, tra lavori di asettico scientismo con incursioni di intensa poeticità. Iniettati come sono degli avvertimenti di Mc Luhan: «Gli effetti delle tecnologie non si producono a livello di concetti e delle opinioni, ma essi modificano il rapporto dei sensi e dei modi di percezione in maniera continua». (Cesare Biasini Selvaggi)
In alto: A room within which the computer can control the existence of matter, 2017. HD video, stereo sound, 10’21”, courtesy The Gallery Apart-Roma
In home: At the edge of the frame, 2017, calcestruzzo, dimensioni variabili, courtesy The Gallery Apart-Roma

Info:
Rowena Harris – Soft Boundaries
The Gallery Apart – Via Francesco Negri, 43, Roma
Opening: ore 18:30
dal 23 settembre al 22 dicembre 2017
orari: martedì-sabato 15.00 pm-19.00 e su appuntamento
tel/fax +39 0668809863 – www.thegalleryapart.it
quotazioni opere: da 1.800 a 5.500 euro

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