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“Masculinities” al Barbican Centre, Londra
Opening
di Silvia Conta
Al Barbican Centre di Londra è stata inaugurato in questi giorni la mostra “Masculinities. Liberation through Photography” (fino al 17 maggio), che esplora il mutare del concetto di mascolinità a partire dagli anni Sessanta a oggi nella società occidentale.
“Tante mascolinità”
In titolo, mascolinità al plurale, esplicita il punto di vista espresso dal percorso espositivo, che – ha spiegato l’istituzione – attraverso il lavoro di oltre 50 artisti internazionali, fotografi e registi, documenta diversi modi in cui la mascolinità è stata esperita, agita, codificata e costruita socialmente mediante fotografia e film.
Attraverso i temi di potere, patriarcato, identità queer, razza, percezione femminile degli uomini, stereotipi della “ipermascolinità”, tenerezza e famiglia, il percorso espositivo fa emergere la mascolinità in un’ampia molteplicità di forme, includend contraddizioni e complessità. Abbracciando l’idea di una molteplicità di mascolinità e rifiutando la nozione di un solo ideale maschile, la mostra – ha concluso il Barbican Centre – apre un dibattito per la comprensione della mascolinità liberata dalle aspettative della società e delle imposizioni legate al gender.
Gli artisti in mostra sono Bas Jan Ader, Laurie Anderson, Kenneth Anger, Knut Åsdam, Richard Avedon, Aneta Bartos, Richard Billingham, Cassils, Sam Contis, John Coplans, Jeremy Deller, Rienke Dijkstra, George Dureau, Thomas Dworzak, Hans Eijkelboom, Fouad Elkoury, Rotimi Fani-Kayode, Hal Fischer, Samuel Fosso, Anna Fox, Masahisa Fukase, Sunil Gupta, Peter Hujar, Liz Johnson Artur, Isaac Julien, Kiluanji Kia Henda, Karen Knorr, Deana Lawson, Hilary Lloyd, Robert Mapplethrope, Peter Marlow, Ana Mendieta, Anenette Messager, Duane Michals, Tracey Moffat, Andrew Moisey, Richard Mosse, Adi Nes, Catherine Opie, Elle Pérez, Herb Ritts, Kalen Na’il Roach, Collier Schorr, Paul Mpagi Sepuya, Clarie Strand, Michael Subotzky, Larry Sultan, Hank Willis Thomas, Wolfgang Tillmans, Piotr Uklański, Andy Warhol, Karlheinz Weinberger, Marianne Wex, David Wojnarowicz, Akram Zaatari.
Le ragioni della mostra
Ciò che viene ritenuto “maschile” è notevolmente cambiato nel corso della storia e differisce nelle varie culture. Il tradizionale dominio sociale maschile ha determinato una gerarchia basata sul genere che continua ancora oggi nel mondo, ha spiegato l’istituzione.
La nota frase di Simone de Beauvoir secondo cui “non si nasce donna, ma lo so diventa”, – si legge nel comunicato stampa – si può applicare anche alla condizione maschile e la mostra considera il ruolo delle fotografia e delle immagini in movimento nella costruzione dell’identità maschile.
In Europa e Nord America le caratteristiche e le dinamiche di potere legate al dominio della figura maschile, storicamente definita dalle caratteristiche fisiche, dalla forza e dall’aggressione, oggi ancora pervasiva, ha inziato a essere messa in discussione e trasformata a partire dagli anni Sessanta.
Con il clima della rivoluzione sessuale, delle lotte per i diritti civili e l’aumento della coscienza di classe, della nascita del movimento per i diritti dei gay, gli anni della controcultura e dell’opposizione alla guerra del Vietnam, in ampie parti della società si è allentata la stretta definizione dei generi.
Sulla scia del movimento #MeToo, ha continuato l’istituzione, in mostra l’immagine della mascolinità viene analizzata da punti di vista molto articolati, dalla “toxic masculinity” alla “fragile masculinity”, fino alla politica globale in cui molti leader si pongono come “uomini forti”. La mostra arriva così a raccoglie rappresentazioni complesse e talvolta contraddittorie della mascolinità, di come si è sviluppata e evoluta nei decenni recenti.