A Roma oggi, 13 febbraio, inaugura la nuova della galleria Matèria, in via dei Latini 2, con la personale di Stefano Canto “Carie”, curata da Giuliana Benassi.
«Questo cambiamento – ha spiegato la galleria – rappresenta una svolta significativa, frutto di cinque anni di attività che hanno visto tutti gli artisti rappresentati cimentarsi con una personale in galleria. Un ciclo iniziale che ha dato vita a numerosi progetti con artisti, curatori, realtà italiane e internazionali, preparando un terreno fertile per la crescita della galleria».
«Continua ora il percorso iniziato in via Tiburtina 149: essenziale resta la creazione di un gruppo di artisti con i quali lavorare a un progetto comune, mettendo al centro il loro supporto culturale, economico e progettuale. «Lo stato di crisi ci mette davanti a scelte forzate – dichiara Niccolò Fano fondatore e direttore di Matèria – che una volta intraprese marcano fortemente l’andamento e il futuro di una galleria; il passo che facciamo oggi definisce in maniera radicale il nostro futuro. Cambiare spazio e cogliere un’opportunità in questo mare in tempesta ci permette di formalizzare una rinnovata linea di pensiero e d’azione, che punta fortemente sulla città, senza tralasciare una selezione di collaborazioni nazionali e internazionali che intendiamo costruire e consolidare nei prossimi anni», ha proseguito la galleria.
Gli artisti rappresentati di Matèria, rimangono, invece, gli stessi: Fabio Barile, Stefano Canto, Xiaoyi Chen, Mario Cresci, Giuseppe De Mattia, Marta Mancini eGiulia Marchi.
Molti i progetti in programmi per i prossimi mesi: «Dopo Stefano Canto, la galleria ospiterà la personale di Fabio Barile in primavera e una collettiva a cura di Ornella Paglialonga a settembre. Attualmente abbiamo in programma alcuni progetti di collaborazione. Il primo è un progetto di residenza internazionale nato lavorando con Ottn Projects e BAR (Beirut Art Residency) che prenderà il via prima dell’estate. Il secondo progetto che, invece, ci vede coinvolti come spazio espositivo è Charta, un festival di libri fotografici organizzato da Paper Room e Yogurt Magazine».
Niccolò Fano: «L’opportunità di cambiare spazio è arrivata in un momento decisamente particolare per tutti. In un periodo così confuso per noi è stato fondamentale guardare al futuro e all’evoluzione del ruolo della galleria a livello locale e internazionale.
L’obiettivo è quello di potenziare il percorso rigoroso delle personali dedicate ai nostri artisti rappresentati – una rosa che molto probabilmente vedrà delle nuove adesioni nei prossimi due anni – affiancando al calendario espositivo una proposta didattica volta alla formazione professionale nel settore artistico e culturale».
Per l’inaugurazione della nuova sede avete progettato una grande installazione site-specific. Ce la potete raccontare?
Giuliana Benassi: «Potremmo definire la mostra “come una grande installazione site-specific” in quanto Canto ha concepito le opere esposte a stretto contatto con le “traiettorie” architettoniche dello spazio, giocando con la complessità del luogo espositivo in senso sia geometrico che di rottura. Inoltre c’è stato un momento in cui il cantiere dei lavori in galleria ha coinciso con il processo artistico delle opere, infatti Canto ha realizzato gran parte delle opere esposte direttamente in galleria, cosa che ha permesso la realizzazione di un lavoro ad hoc per l’ambiente espositivo.
Le opere dunque sono intimamente legate allo spazio e si mettono in relazione con esso instaurando un dialogo con i suggerimenti architettonici dello stesso. Seguire il suo lavoro in divenire ha fatto emergere la sua particolare sensibilità per la struttura dello spazio in termini architettonici, la sua costante attenzione alle linee e alle direzioni strutturali. D’altronde Canto, oltre ad aver compiuto studi di architettura, incentra gran parte della sua ricerca su di essa. Possiamo dire che si è innescato un magnetismo tra il nuovo spazio della galleria e le opere in mostra, cosicché la mostra sembra divisa in tre momenti, in cui si percepisce la “decisione delle sculture” di inserirsi nelle campate con un certo ritmo».
In che modo questa installazione si lega al lavoro di Matèria e, in particolare, all’evento dell’apertura della nuova sede?
Giuliana Benassi: «Credo che la mostra di Canto sia molto vicina e in sintonia con la nuova apertura di Matèria innanzitutto perché ambedue rappresentano un’azione verso il territorio. Se le opere di Canto nascono dalle strade di Roma nelle quali l’artista ha raccolto alcuni tronchi caratterizzati dalle cosiddette carie – del titolo della mostra – per poi lavorarli in senso scultoreo-architettonico, la nuova apertura della Galleria rappresenta un segno di vivacità e fiducia nei confronti del territorio, in un momento storico così particolare e segnato da una inevitabile incertezza generale. Canto lavora a partire dal vuoto per costruire e generare nuovi scenari, Matèria parte in un momento anch’esso caratterizzato dal “vuoto” per rilanciare una scommessa di costruzione nel segno dell’arte».
Nella opere di Stefano Canto viene innescato un processo in cui sul vuoto del processo di decomposizione del legno si innestano elementi di cemento come “reazioni” volte alla rinascita, nel comunicato stampa si parla di «presenza costruttiva». Come è nato questo approccio?
Stefano Canto: «Là dove lo sviluppo urbano friziona con quello naturale si generano dei segni, e le carie sono proprio uno di questi. Un vuoto midollare che rende la pianta instabile e precaria e per questo motivo se ne necessita il taglio e l’abbattimento.
Il mio intervento è quello di convertire il processo da distruttivo a costruttivo, il vuoto diventa pieno dando nuova forma e nuova unità all’insieme.
In un certo senso mi pongo come se fossi un archeologo che ricostruisce le parti mancanti di un oggetto, di un reperto, ma essendo un artista e un architetto utilizzo delle mie regole e una mia visione di completamento».
Con questa mostra prosegue anche un progetto editoriale che si sviluppa nell’arco di tre mostre in galleria. Come si struttura il progetto e in che rapporto staranno le tre mostre una rispetto all’altro? A quale tipo di percorso complessivo daranno origine?
Niccolò Fano: «Più che dare origine ad un percorso, direi che accompagnano un percorso: quello del processo artistico di Canto. “Carie” è idealmente la seconda tappa di una trilogia, la prima è stata “Sotto l’influenza del fiume. Sedimento” (2018). Ciascuna mostra personale coincide con un approdo formale inteso come risultato dell’intero processo. Per questo a ogni mostra viene prodotta un’edizione in collaborazione con Fiorenza Pinna, con lo scopo di documentare attraverso testo e immagini il lavoro nel suo divenire.
La futura terza mostra sarà l’atto conclusivo che si vorrà sigillare con la presentazione dei tre momenti espositivi riunendo simbolicamente le tre edizioni. Il rapporto tra le tre tappe è di continuità. È interessante vedere l’evoluzione di un lavoro, la sua varietà e al contempo rintracciare una continuità nel tempo e nella forma».
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