«La lunga storia della città , l’antico Impero Romano e le fondamenta archeologiche mi affascinano. Sento le stratificazioni del tempo e vedo le tracce di storie di quasi 3000 anni vivide nei volti delle persone per strada», racconta Leiko Ikemura, che torna a Roma in occasione della sua mostra personale, Mia Mamma Roma, che Tim Van Laere Gallery ospita.
Roma è la prima città in cui Ikemura è arrivata dopo aver lasciato il Giappone per l’Europa in giovane età e Roma è la città in cui torna per presentare una mostra che, fin dal titolo, evoca grande affinità con il cinema italiano, in particolare con i film del regista italiano Pier Paolo Pasolini: alla stregua di Pasolini – la cui presenza iene percepita entrando nello spazio espositivo attraverso una selezione di fotogrammi del suo secondo film, Mamma Roma (1962) – Ikemura condivide l’interesse per l’umanizzazione di personaggi spesso trascurati dalla società e si interroga sulle nostre condizioni morali e su come trovare l’armonia in un mondo fratturato dai nostri pregiudizi.
In occasione di Mia Mamma Roma, Ikemura propone la serie Girls, che ha iniziato negli anni Novanta e a cui sta ancora lavorando. Questi dipinti possono essere visti come una critica velata alla rappresentazione della figura femminile come passiva e senza voce nell’arte visiva. Si tratta di delicate silhouette dai colori fluidi che incontrano lo spettatore come un’apparizione, intessuta di luce, contrasto e trasparenza. Mentre le figure precedenti spesso irradiavano un misto di innocenza, vulnerabilità e malinconia, le sue nuove opere rivelano un affascinante lato coraggioso. Queste ragazze si risvegliano nel nostro tempo di incertezza, dove l’artista lascia le loro narrazioni aperte agli spettatori per far sì che i loro pensieri sull’infanzia, sul raggiungimento dell’età adulta e sulla maternità possano incontrarsi. Questi dipinti sono presentati insieme a due sculture. La scultura Mia Mamma Roma rivela una figura dalla forma di un vaso, che incarna concetti come rifugio, protezione, sicurezza, nutrimento e maternità , metafora ultima della creazione.
Di tutto questo, a poche ore dall’inaugurazione, ne abbiamo parlato con Leiko Ikemura.
Prendendo spunto da una riflessione di Claudio Bologna per cui «le creature, non le cose; la rappresentazione della realtà , non il realismo, interessano a Pasolini», chi sono le sue Girls?
«Anche le mie ragazze sono creature e provengono da mondi diversi che si trovano al di là della realtà . Vivono in un regno tutto loro. La loro presenza richiama il passato ma presenta anche una visione dinamica del futuro».
Già il titolo, ma anche l’inizio del percorso espositivo, evocano una forte affinità con Pier Paolo Pasolini. Possiamo parlare, anche per la sua ricerca, di folgorazione figurativa? E se si, in che termini?
«Ammiro il lavoro di Pasolini perché è uno degli artisti più singolari e uno dei migliori registi che cerca la verità interrogando la condizione umana. Mi piace il suo modo di collegare tutti i diversi periodi della nostra immensa memoria. Roma, questa città è eterna e sento lo spesso strato del tempo. La proiezione all’ingresso è un invito al mio mondo attraverso i fotogrammi di Mamma Roma catturati dai miei occhi, ora trasformati in qualcosa di diverso, che vorrei condividere con i visitatori».
Nella mostra la scultura Mia Mamma Roma incarna concetti come rifugio, protezione, sicurezza, nutrimento e maternità . C’è un legame con quello che ha provato lei quando è venuta a Roma, in giovane età dopo aver lasciato il Giappone per l’Europa? Come ha inciso, o incide, nel suo lavoro il rapporto con questa città ?
«Sono rimasta affascinata dalla bellezza e dal comportamento naturale delle persone che passavano. Naturalmente le tracce del tempo e i monumenti sono impressionanti, ma sono stata più toccata dai frammenti di pezzi, che sono ancora molto vividi e mi raccontano storie o evocano immaginazioni».
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