La scultura per Hidetoshi Nagasawa (Tonei, Manciuria, 1940-Milano, 2018) è il visibile, il percepibile e trae origine dal contatto: «Volevo toccare lo spazio che non esiste, – diceva l’artista giapponese – che non si vede. Io penso che il senso della scultura è di toccare e creare dove non si vede». Se chiudiamo, infatti, anche solo per un istante gli occhi di fronte a una qualsiasi sua opera, è possibile comprendere più facilmente che, come afferma Merleau-Ponty, il visibile è tutto intessuto di non visibile, «quel tessuto che fodera il visibile, lo sostiene, lo alimenta e che, dal canto suo, non è cosa, ma possibilità, latenza e carne delle cose». Condotto sul piano della ricerca di Nagasawa, il rapporto tra visibile e invisibile fa dire che c’è luce perché c’è il buio, che c’è artificio perché c’è natura, che ci sono armonia ed equilibrio perché ci sono cacofonia e instabilità, che c’è pieno perché c’è vuoto, che nel momento contemplativo c’è logica razionale perché c’è abbandono alla capacità intuitiva dei sensi. Sono riflessioni che riguardano la trascendenza, l’essere a distanza, ciò che equivale a dire – citando ancora una volta Merleau-Ponty – che «l’essere è talmente gonfiato di non-essere o di possibile che esso non è solamente ciò che è». Dalla fine degli anni Sessanta a cui data il suo esordio, e fino agli ultimi esiti formali, la disciplina artistica di Nagasawa è, pertanto, un invito a esercitare diversamente lo sguardo e i propri sensi verso il superamento della materialità apparente e delle sue leggi. Così, nonostante nell’accostamento compositivo tra le parti delle sue sculture le proprietà fisiche della materia (come legno, ferro, cera, carta o bambù) siano sempre ben presenti e individuabili, tuttavia non impediscono all’opera «di stare in aria», come affermava l’artista, perché può essere considerata riuscita solo quando «c’è equilibrio, quando anche cinquecento chili vengono fatti galleggiare nell’aria e sembrano leggeri». Una sospensione tra cielo e terra, un’estasi “antigravitazionale” della materia attraverso un percorso costellato di “luoghi” materiali e immateriali, che Nagasawa costruisce sotto forma di dimore, stanze, porte, muri, giardini, recinti, barche, paraventi. Come quello che attende il pubblico a Verona da oggi fino al 6 gennaio 2019. Dal chiostro e negli spazi dell’ex convento del XIII secolo che ospita il Museo degli affreschi con Panca (2002), negli interni della chiesa di San Francesco al Corso con Sette Anelli (2015), nel cortile dell’Accademia di Belle Arti con Aquila (1989), nel chiostro dell’ex convento di San Fermo con Caos vacilla (2010). E, poi, ancora con Triangolo nel pentagono (2010) nel giardino Giusti, con Tre cubi (2015) nel giardino del Museo di Castelvecchio, fino a Veronafiere (ingresso re Teodorico), dove Axis Mundi (2014) è installata fuori dai padiglioni. Da Verona ci si sposta, infine, al Mart (Museo d’arte moderna e contemporanea di Trento e Rovereto) per una grande installazione del 2014. Un percorso, parte del programma di Art&TheCity, ideato da Adriana Polveroni con il supporto di Ryoma Nagasawa, figlio dell’artista. Un progetto concepito quando Hidetoshi era ancora in vita, prima che una lunga malattia interrompesse il suo viaggio terreno. «Sapevo che stava male, – ricorda Adriana Polveroni – ma mi ha detto che si sentiva bene, che stava meglio. Gli proposi un percorso a Verona, in occasione di ArtVerona, per illuminare alcuni luoghi bellissimi di questa città con le sue opere così potenti e delicate insieme. Mi ha detto semplicemente: “Grazie, per avermi pensato”. Ero felice, felice di averlo. Felice e sicura che avrebbe fatto un gran lavoro, che insieme avremmo costruito una cosa bella e degna per questa città dove lavoro da un anno. Sarebbe stata la prima occasione per fare una cosa veramente insieme, dopo altri progetti minori e pur conoscendolo da quasi 25 anni». Tuttavia Hidetoshi oggi, a distanza di sette mesi dalla sua dipartita, anche a Verona, sembra non essere mai stato così lontano eppure così vicino allo stesso tempo, attraverso la sua arte che continua a vivere nella stessa soavità di sempre.
E mi piace salutarlo con il tenero commiato scritto sulle nostre pagine online dalla stessa Adriana Polveroni: «Ciao caro Hidetoshi, che il viaggio ti sia lieve come lo sei stato tu». (Cesare Biasini Selvaggi)
In alto: Caos vacilla, 2010, marmo e ferro, 100 x 300 x 200 cm, courtesy Famiglia Nagasawa, esposta nel chiostro della Soprintendenza
In homepage: Sette anelli, 2015, marmo e travi in legno, 420 x 70ø cm, courtesy Famiglia Nagasawa, esposta all’interno della Chiesa di San Francesco al Corso, Museo degli Affreschi