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Abbiamo più volte scritto che Independent, la fiera newyorchese che si tiene nel building di Spring, al 50 di Varick Street, è una fiera “giusta”.
E lo ribadiamo anche per questa edizione 2020.
Perché è giusta? Perché le gallerie sono una sessantina, perché gli spazi sono perfetti (la fiera è spalmata tra il settimo piano, il sesto, il quinto – un po’ troppo affollato – e il piano terra) e perché – come avevamo già ribadito – le distanze tra una galleria e l’altra sono pressoché annullate, creando così uno scenario d’impatto che permette una visione organica dove però nessuno sovrasta l’altro.
É giusta perché dalle grandi vetrate entra luce naturale e in questi giorni di quasi primavera a New York un po’ di sole che possa baciare corridoi, opere e galleristi non fa assolutamente male, anzi.
E infatti l’atmosfera è rilassata, e gli affari sembrano essere d’oro anche qui.
L’offerta? Nemmeno a dirlo molta pittura, ma di grande ricercatezza; grandi nomi del contemporaneo, sia per quanto riguarda le gallerie, sia per gli artisti proposti, fanno a gara con giovani e tendenze attraenti, con allestimenti dettagliatissimi e una vasta gamma di colore. Questo, in effetti, è uno dei primi elementi che salta all’occhio: Independent è una fiera che sceglie di mettere in scena – e in vendita – un contemporaneo decisamente in technicolor.
Le gallerie e i “best of”
Varius Small Fires, galleria con sedi a Seul e Los Angeles, propone un solo show di Jessie Homer French (California, 1940). Tele di piccola e media dimensione e un po’ di tappeti, per riflettere ironicamente sull’ossessione della morte insieme a una serie di paesaggi californiani e alla sensazione di essere sempre di fronte ai disastri quotidiani causati dall’uomo. Una pittura che appare dolce e si svela caustica, e che si vende a partire da 8mila dollari. E, stando alle dichiarazioni delle galleriste di VSF, si sono venduti tutti, tranne uno. Quasi tombola.
Una sicurezza lo stand di Lelong & Co., che propone niente meno che parte dell’installazione di Barthélémy Toguo, Urban Requiem, che era esposta alla Biennale di Venezia 2015. I giganti timbri in legno costano 16mila dollari, le stampe 25mila.
Assolutamente da godere visivamente i dipinti di Leigh Ruple da PAGE (NYC), galleria di New York al settimo piano, che vi accolgono accanto al rigoroso allestimento messo a punto dalla londinese Richard Saltoun. Ruple, per una media di 10mila dollari, vi consegna una serie di olii su tela assolutamente brillanti, che raccontano scene di vita giovanile o scorci della Grande Mela, tutti realizzati negli ultimi mesi.
Anche Ghada Amer da Marianne Boesky è una sicurezza e le sue pitto-sculture in ceramica sono forse alcuni degli oggetti più curiosi e più scenografici che si possano ritrovare qui.
Al piano terra invece trionfa proprio la pittura con Semiose, da Parigi, e Nicelle Beauchene, ma sarebbe un azzardo non citare Richard Kennedy nel bell’allestimento di Peres Project, o Wolfgang Tillmans da Maureen Paley così come i dipinti con le “storie di tutti i giorni” di Dike Blair (un altro non giovanissimo, classe 1952) da KARMA.
Independent, insomma, è una fiera come forse dovrebbe essere ripensata una fiera oggi. Curata per davvero, accattivante per davvero, non asfissiante per davvero. Sarà anche per questo, come dicevamo sopra, che gli affari vanno?