Categorie: Opening

Palermo, quel che resta del giorno

di - 19 Giugno 2018
I giorni più caldi dell’opening week di Palermo sembrano ormai lontani. Non tanto per le temperature atmosferiche, anche se nel capoluogo siciliano, c’è spesso un venticello a lenire i disagi della canicola. Quanto per il pubblico internazionale sopraggiunto, che si è già diluito. Eppure qui continuano gli opening di progetti espositivi. Solo ieri, tra gli altri, è stato il giorno del “varo” della grande istallazione ambientale “We lost the Sea” (in alto) di Federica Di Carlo (Roma, 1984). Artista emergente, è da tempo impegnata nella ricerca sugli equilibri naturali del mondo, condotta con i fisici di dipartimenti scientifici come il MIT (Boston), il CERN (Ginevra) e l’INAF (Roma/Milano). A partire dalle ore 18:00 di ieri, l’antica “Fabrica della Real Marina” di Palermo, per secoli un importante crocevia di scambi e di relazioni tra popoli, è stata così trasformata da Di Carlo in uno spazio senza tempo, attraverso cui osservare il processo vitale di acqua, aria e luce che tiene in vita la Terra. Percorrendo un’unica via d’accesso, un pontile di dieci metri eretto all’interno della sala semibuia dell’Arsenale, i visitatori (in numero di massino 15 alla volta) hanno la possibilità di addentrarsi in un “mondo altro”, in cui grandi aquiloni argentati, rappresentazione del vento e dell’atmosfera, fluttuano nello spazio a diversi metri d’altezza, producendo nell’ambiente riflessi di luce costantemente in movimento, simili alle onde del mare.
Sempre ieri, nel tardo pomeriggio, alle 19.30, è stata poi la volta dell’opening, da église, in via dei Credenzieri, di “Migrations”, una mostra di opere fotografiche (in homepage) di Karen Knorr (Francoforte sul Meno, 1954) che, dal 2008, ha diretto il proprio sguardo alla cultura dell’alta società indiana dei Rajput e alla relazione che essa innesca con “l’altro”, attraverso l’uso della fotografia, del video e della performance. A cura di Niccolò Fano, direttore di Matèria (un’interessante galleria di ricerca romana), la mostra presenta una selezione di fotografie tratte dalla vasta serie “India Song” (2008-2017), a cui si affianca “Metamorphoses” (2014-2017), un lavoro più recente e in fieri, che guarda all’eredità e al patrimonio culturale italiano.
Oggi è, invece, l’ultimo giorno per visitare l’installazione “Protocollo no. 90/6” del duo MASBEDO per Manifesta 12, presso l’Archivio di Stato di Palermo (via Alloro – I Cortile Gancia), in attesa di ricevere una nuova autorizzazione da parte della Soprintendenza archivistica della Sicilia (che ci auguriamo giunga presto). Per quei pochi che ancora non l’avessero visitata, questa è allora la tappa del giorno a Palermo. Questo lavoro dei MASBEDO è infatti l’Opera di Manifesta 12 che fa tutta la biennale. Nei primi 5 giorni di apertura, dal 14 al 18 giugno scorsi, si sono accalcati all’Archivio di Stato 5.000 visitatori, tra cui Adam Weinberg del Whitney Museum York, Frances Morris della Tate Modern di Londra, e Ralph Rugoff curatore della prossima Biennale di Venezia.
Mentre tutto questo va in scena nel capoluogo siciliano, sono in molti, dagli addetti ai lavori ai più giovani, in particolare quei trentenni rientrati dopo gli studi sul continente, a domandarsi cosa resterà di questa stagione straordinaria avviata da Palermo Capitale della Cultura e, soprattutto, infiammata da Manifesta 12, che ha catapultato la città su un versante della ribalta internazionale a cui non era avvezza. Perché il timore che tutto possa ridursi a un fuoco di paglia c’è. Anche per le prospettive occupazionali di chi, in questi ultimi mesi e pochi anni, qui ha trovato lavoro, nei restauri dei palazzi nobiliari del centro o nell’indotto derivato dalla loro apertura e, soprattutto, nelle attività propedeutiche a questa estate 2018. Insomma, nel “laboratorio Palermo” la prossima sfida sarà dimostrare che con la cultura si può “mangiare” e stimolare così il ritorno di qualche cervello in fuga. (Cesare Biasini Selvaggi)

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