L’importanza che esercitiamo sulle cose può apparire scarsa se incessante è il divenire che ci circonda e se tutto accede all’esistenza per trascorrere in essa solo un breve istante prima di passare ad altro stato. Enigmatica, così, appare l’alternanza del divenire e dell’essere, ancor più all’uomo che prova il bisogno di trattenere con accanimento il minuto transitorio, il momento che gli sfugge. Paola Pezzi, da sempre, con il suo gesto artistico, disciplina e domina la materia, dando vita a forme in cui è chiara la dimensione del divenire.
Negli spazi di Gaggenau DesignElementi, in un percorso di diciotto opere, che raccontano trentacinque anni di carriera, Paola Pezzi e Sabino Maria Frassà, riescono a restituire qualcosa di naturale, e reale, e autentico: quel momento in cui si assiste al passaggio, quell’attimo che, trasformato in immagine, rivela quella tensione necessaria a comprendere cosa sia successo, cosa sia cambiato.
Una canzone diceva «le mani, tutto comincia sempre con le mani». Risuona nel profondo interiore di fronte a un lavoro come A piene mani, un nido, una palla di guanti da lavoro che diventano opera d’arte nell’atto del fare. Naturale e irrefrenabile è la voglia di toccare, con mano appunto, il cambiamento di materia cui si assiste. Che cosa può significare aver voglia di tenere per mano la materia? Forse non è soltanto una questione di possessività, per affermarne la proprietà. Anzi, di fronte a queste opere, viene da pensare che sia soltanto un modo per mantenere il contatto, per comunicare senza parole, per dire «Ti voglio con me, non te ne andare».
Volutamente monocroma e bianca per favorire l’unione alla dimensione tattile, sensuale, che instaura con lo spettatore un’immediata empatia, la mostra celebra la mano, il fare di Paola Pezzi dagli anni Ottanta, quando i suoi lavori erano frutto di un gesto di avvolgimento, agli anni Duemila, quando il movimento diventa più centrifugo. Da una spirale che si avvolgeva in se stessa – come in Nuclei originari – con il passare del tempo la spirale originaria si apre, muovendosi dall’origine verso l’esterno. Opera dopo opera è sempre più radicata l’idea che l’artista possa permettersi di non esibire il centro focale da cui tutto nasce: può anzi arrotolarsi in mille giravolte e poi tornare offrendosi pieno di concretezza. Diversi sono i materiali, plastici e tessili comprendendo alluminio, cannucce, cotton fioc, passamanerie, frange e matite: tutti presi dalla vita quotidiana, quasi a rivendicare che tutta la nostra esistenza non è altro che un passaggio di stato.
Non commettiamo però l’errore di credere in una dimensione caotica, o disordinata, come potrebbe la mente portarci a credere volendo immaginare pressioni e mutazioni dell’ambiente esterno che ci spingono a trasformarci continuamente. Paola Pezzi costruisce con maestria ed eleganza ordine e spazio, ponendoci nella condizione naturale di aver voglia di scoprire l’incanto del divenire, aspettando un nuovo passaggio di stato per crescere, per vivere davvero.
Passaggi di stato è questo, in una parola è vita: vita che si muove in un costante divenire generato dall’esplosione di energia da cui hanno avuto origine. «Oggi non è che un giorno qualunque di tutti i giorni che verranno», sosteneva Ernest Hemingway, «ma tutto ciò che farai in tutti i giorni che verranno dipende da quello che farai oggi».
Nello straordinario legame con Marisa Merz, non solo i materiali – dall’alluminio alle fibre tessili – ma anche il movimento vorticoso avvicinano queste due grandi artiste, nelle opere di Paola Pezzi sembra che la gioia di vivere derivi dall’incontro con nuove esperienze, e quindi non esiste gioia più grande dell’avere un orizzonte in costante cambiamento, del trovarsi ogni giorno sotto un sole nuovo e diverso. Non dobbiamo che trovare il coraggio di rivoltarci contro lo stile di vita abituale e buttarci in un’esistenza non convenzionale ma sempre fedele a noi stessi.
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