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“Passione italiana: l’arte dell’espresso” all’Istituto Italiano di Cultura di Copenaghen
Opening
L’Istituto Italiano di Cultura di Copenaghen ha inaugurato la mostra Passione italiana: l’arte dell’espresso, curata da Elisabetta Pisu e visitabile fino al 31 marzo. Pensata in occasione dell’Italian Design Day – indetto dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale – l’esposizione mette al centro la passione per l’espresso e traccia un percorso storico con caffettiere nate dalla matita di grandi designer, che sono diventate vere icone di un’epoca, e pezzi più recenti frutto di innovazioni tecnologiche, che ne hanno radicalmente trasformato i processi produttivi e innalzato gli standard qualitativi.
Per muoverci tra i 45 oggetti in mostra, per scoprire l’evoluzione nel tempo e anche per indagare il valore del rito italiano del caffè a Copenaghen, abbiamo parlato con la curatrice Elisabetta Pisu e con Il Direttore dell’IIC Raffaello Barbieri.
Come si sono evoluti negli ultimi due secoli il design e la tecnologia degli oggetti per il caffè?
Elisabetta Pisu: «Si sono evoluti notevolmente, da soluzioni artigianali gli oggetti per il caffè sono diventati prodotti industriali avanzati. Le tecnologie e il design delle macchine per espresso sono state campo di sperimentazione di diversi sistemi tecnici: a vapore, a leva, idraulico fino ad arrivare a quelle attuali a erogazione continua. La prima macchina da caffè espresso moderna come la intendiamo oggi venne sviluppata da Achille Gaggia nel 1948 grazie all’invenzione dell’estrazione a pressione della polvere di caffè che permise di ottenere la bevanda in una forma concentrata, diventata nota per la sua cremosità. Dall’invenzione di Gaggia poi si aprirono le porte ad altre importanti innovazioni che rivoluzionarono il processo di preparazione del caffè. Sviluppi nell’estetica, nel design, nell’ergonomia e nella facilità di uso -con l’introduzione di materiali come l’acciaio inossidabile, il vetro e la plastica- hanno permesso di realizzare macchine domestiche, a cialde o capsule, per gustare a casa un caffè espresso di qualità, come al bar».
Cosa esprimono gli oggetti in mostra in termini di abitudini e gesti legati al rito del caffè?
Elisabetta Pisu: «Gli oggetti in mostra confermano il rapporto emotivo che gli italiani hanno con il caffè. Un rito inclusivo, sociale e culturale che è parte integrante della nostra identità nazionale. La Moka Bialetti, inventata nel 1933, la 9090 di Richard Sapper, La conica e La cupola di Aldo Rossi, le caffettiere di Lissoni, De Lucchi e Trimarchi, prodotte da Alessi sin dagli anni ’70, sono diventate il simbolo della bellezza e dello stile di vita italiano. Alla tazzina sono infatti associate sensazioni di piacere e benessere che scandiscono abitudini e metrica della quotidianità».
Come è concepita la mostra? Che percorso promuove e attraverso quali oggetti?
Elisabetta Pisu: «La mostra si svolge attraverso un percorso storico, una panoramica che abbraccia due secoli di evoluzione nella preparazione del caffè espresso. Si va dalle macchine da bar di noti marchi – Gaggia, Faema, La Cimbali – portatrici di tecnologie rivoluzionarie, alle caffettiere domestiche dei grandi maestri del design come Sottsass, Cini Boeri, Mangiarotti, Rossi e Sapper. Un nucleo importante dell’esposizione è costituito dagli oggetti per il caffè del famoso architetto Aldo Rossi: le iconiche caffettiere –La cupola, La conica e l’Ottagono– la cui forma prese ispirazione dall’effimera architettura galleggiante de Il Teatro del Mondo, costruita dallo stesso Rossi per la Biennale di Venezia nel 1980; il progetto Tea & Coffee Piazza, promosso nel 1979 da Alessandro Mendini insieme ad Alessi, a cui Aldo Rossi partecipa con un set dove le forme dei vari componenti in argento creano uno spazio urbano, una piazza, un teatro, un tempietto classico con un orologio inserito nel timpano».
Come ha scelto gli oggetti da mostrare?
Elisabetta Pisu: «Gli oggetti selezionati fanno parte di importanti collezioni, sia museali che private, ogni oggetto scelto rientrava nell’idea fondante della mostra: sviluppare un racconto storico dai primi del Novecento a oggi. Un percorso visivo che potesse portare al pubblico l’evoluzione delle macchine da bar, macchine domestiche per l’espresso, caffettiere e servizi da caffè, tra tradizione e innovazione. Oggetti iconici, espressioni di un design che ha saputo sintonizzarsi sui gusti del pubblico e che ancora oggi conquista per la sua forza progettuale.
Come è nata l’idea di portare la passione e l’arte dell’espresso all’interno dell’Istituto?
Raffaello Barbieri: «L’Italian Design Day è la rassegna annuale istituita nel 2017 dal Ministero per gli Affari Esteri e per la Cooperazione Internazionale in collaborazione con il Ministero della Cultura, al fine di promuovere il design italiano nel mondo. Negli anni scorsi, anche per la particolare situazione pandemica, ci siamo limitati ad organizzare conferenze e presentazione di libri in Istituto e video interviste sui nostri social media. Quest’anno abbiamo pensato che il design italiano meritava una mostra dedicata all’incredibile contributo dato dai designer italiani a questa forma d’arte e di industria. E quale migliore argomento se non l’espresso, diventato l’Italian lifestyle riconosciuto in tutto il mondo? In collaborazione con l’IMF Foundation, con cui, nel 2021, abbiamo allestito una indimenticabile mostra fotografica su Ugo Mulas, ci accingiamo ad affrontare questa nuova “aromatica” avventura».
Come si inserisce la mostra nella programmazione dell’Istituto?
Raffaello Barbieri: «Non c’è dubbio che esistono dei settori in cui le affinità elettive tra due paesi siano più forti rispetto ad altri ambiti culturali. Il Design fa parte certamente di quelle industrie creative dove il dialogo tra Italia e Danimarca è più intenso. Per questo motivo, oltre a Passione italiana: l’arte dell’espresso, l’Istituto dedicherà un’altra esposizione dedicata al design. A giugno, in occasione dei “3 Days of Design”, la principale rassegna del settore in Danimarca, l’Istituto ospiterà la mostra Timemade, con opere di David Dolcini, il designer che fa parlare il legno».
Da un punto di vista culturale ma anche sociologico, che valore ha oggi il rito del caffè? E che significato assume, per affinità o differenze rispetto all’Italia, a Copenaghen?
Raffaello Barbieri: «Ad ottobre è stato ospite dell’Istituto il regista e scrittore PIF. In due puntate della sua trasmissione “Il marziano”, PIF ha cercato di spiegare al pubblico italiano il significato della parola hygge, quella filosofia di vita rivolta alla ricerca della felicità che permea l’intera società danese. Per fare questo, PIF ha portato il telespettatore italiano all’interno dell’Happiness Museum, ossia il museo dedicato alla felicità. Attraverso il percorso museale, le persone sono chiamate a porsi una domanda chiave: cosa ci rende davvero felici? Il lavoro, la salute, i soldi? I danesi hanno la loro via per la felicità, fatta di riti e di tradizioni sempre orientati verso il benessere delle persone come, ad esempio, la particolare attenzione all’arredo domestico, componente essenziale quando si parla del design. Bene, il rito del caffè, questo rito tipicamente italiano, è un tratto fondamentale della nostra hygge, della nostra ricerca della felicità. Condivido, dunque, il gesto di una visitatrice italiano del Museo che ha lasciato in dono, come simbolo della via italiana alla felicità, una piccola moka Bialetti. Il caffè è la nostra formula magica della felicità».