-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
‘Pèlagos’: Marco La Rosa alla A+B Gallery
Opening
di Silvia Conta
A Brescia, negli spazi della A+B Gallery, inaugura oggi, 6 maggio, la personale di Marco La Rosa (1978, Brescia) “Pèlagos”, a cura di Jessica Bianchera.
«La ricerca di Marco La Rosa – ha spiegato la galleria – si nutre principalmente di temi e spunti di riflessione desunti dalla letteratura classica e dalla filosofia, tendendo da un lato a recuperare il mondo antico attraverso la sensibilità contemporanea, dall’altro a rileggere costantemente la lezione del passato per intuirne i valori universali».
«Con “Pèlagos” – ha proseguito – giungono a maturazione dieci anni di sperimentazione sulla materia (dalla prima mostra nel 2011, tenutasi proprio da A+B gallery), dal cemento al gesso, dal piombo al rame, dal legno al neon, e per la prima volta esplodono in un eterogeneo insieme di elementi che raccontano non solo il viaggio di Ulisse ma anche quello dell’artista, perennemente alla ricerca della propria Itaca».
Le parole di Jessica Bianchera e Marco La Rosa
La tua conoscenza del lavoro di Marco La Rosa deriva da progetti precedenti e nella mostra alla A+B Gallery, in che modo sono collegati?
Jessica Bianchera: «Io e Marco ci siamo conosciuti nel 2018 quando ho curato la mostra Beneath Between Beyond a Spazio Cordis (Verona). Una mostra che già vedeva la collaborazione di Dario Bonetta e di A+B Gallery e che è stata quindi l’occasione per avviare un dialogo anche con la galleria. In quel caso abbiamo avviato un dialogo sulle modalità operative, i temi della ricerca, i materiali: volevamo indagare, attraverso diversi cicli e opere eterogenee, la capacità dell’artista di osservare ciò che sta al di là del visibile attraverso materiali estremamente concreti come il cemento, il gesso alabastrino e il piombo, per far emergere la poeticità di un lavoro che dal punto di vista della resa formale ha una potente fisicità e concretezza ma da quello concettuale va sempre alla ricerca di uno spazio interstiziale del pensiero. Per quella mostra Marco aveva realizzato un lavoro, poi entrato nella collezione di Spazio Cordis, che si intitola Considerate la vostra semenza (XXVI, Inferno): mi piace pensare che possa essere stato un primo spunto per lo sviluppo del ciclo di opere di “Pèlagos”».
Quali aspetti della mostra e della ricerca di Marco vengono evocati attraverso l’immagine del “Pèlagos” che dà il titolo alla mostra?
Jessica Bianchera: «Pèlagos (Πέλαγος) è il mare aperto, l’alto mare. Abbiamo scelto questo termine come titolo della mostra per evocare l’idea di uno spazio in cui si perde qualsiasi punto di riferimento, in cui ci si avventura alla ricerca di risposte, ma ciò che si trova sono solo altre domande. Dopotutto quello di Ulisse è un viaggio per mare, forse il viaggio in mare per eccellenza, rivisitato e richiamato più volte nella tradizione letteraria occidentale da Dante a Foscolo, da Pascoli a Kavafis, da D’Annunzio a Saba, da Joyce a Levi a Baricco proprio per il suo valore universale, perché trascende “l’avventura” con continui spunti di riflessione etica e infinite possibilità di rilettura sulla base del contesto socio-culturale di un tempo in continua mutazione.
La metafora del viaggio in mare aperto, poi, è classicamente usata in filosofia per intendere la speculazione filosofica stessa, l’eterna sete di conoscenza, l’impulso verso l’inconoscibile, che è cifra stessa dell’esistenza umana. Il mare assume nel nostro immaginario l’aspetto di un confine assegnato dalla natura allo spazio delle imprese umane, e ciò nonostante (o forse proprio per questo) un confine -il primo- sfidato, varcato, violato. È il fascino della scoperta, il brivido della conoscenza, la perenne insoddisfazione nei confronti di ogni raggiungimento. È l’impulso a ripartire ogni volta che si raggiunge terra, un porto, la meta, in una relazione duplice e ambigua tra viaggio e approdo tale per cui i due elementi sono essenziali l’uno all’altro in una tensione esistenziale destinata a rinnovarsi continuamente.
Potremmo dire lo stesso per la ricerca artistica se la intendiamo come un salto nel vuoto, un avventurarsi in mare aperto con la lucidità e l’intenzionalità più ferrea ma riuscendo a farsi sorprendere continuamente, conservando la capacità di continuare ad apprendere, a cercare, a stupirsi».
Marco, quali aspetti della tua ricerca emergono in modo particolare dal percorso espositivo?
Marco La Rosa: «La mia ricerca si nutre da sempre di temi e spunti di riflessione desunti da altre discipline, come la letteratura e la filosofia, con una particolare attenzione, in questo caso specifico, per il mondo antico, recuperato attraverso la sensibilità contemporanea e riletto per riflettere su valori individuali e universali, con una forte valenza introspettiva. A differenza di lavori precedenti, però, in “Pélagos” questi indirizzi di ricerca vengono messi a sistema attorno a un unico spunto letterario. Contemporaneamente giungono qui a maturazione dieci anni di sperimentazione sulla materia (la mia prima mostra si è tenuta nel 2011 proprio da A+B Gallery) dal cemento al gesso, dal piombo al rame, dal legno al neon, in un eterogeneo insieme di elementi che rendono conto della varietà che voglio che il mio lavoro conservi e della mia costante riflessione sul linguaggio della scultura, sia dal punto di vista formale che in un continuo dialogo con lo spazio».
Come è strutturato il percorso espositivo?
Marco La Rosa: «Il percorso espositivo è stato pensato e sviluppato in due ambienti: nel primo ci sono due grandi installazioni a parete dalle quali emergono le singole tappe del viaggio di Odisseo, nel secondo, più intimo e silenzioso, si è accompagnati in un cammino introspettivo caratterizzato da imponenti opere scultoree immerse in una luce blu».
Potete suggerisci un paio di lavori in mostra su cui soffermarci particolarmente?
Marco La Rosa: «È molto difficile per me suggerire dei lavori. Il mio consiglio è quello di dedicare un po’ di tempo all’osservazione delle singole opere che interpretano le vicende del poema, e di soffermarsi per misurarsi e confrontarsi con l’installazione scultorea Dov’ Ercole segnò li suoi riguardi, acciò che l’uom più oltre non si metta».
Jessica Bianchera: «Non saprei indicare un’opera in particolare perché credo che siano lavori che funzionano molto bene sia singolarmente sia nella loro totalità, con una serie infinita di possibili relazioni. Penso sia interessante indugiare su alcuni dettagli come il trattamento delle superfici, le lievi increspature, le scelte cromatiche, il valore simbolico o in certi casi metonimico delle soluzioni formali».
Una domanda a Dario Bonetta, gallerista: quali progetti ospiterà A+B Gallery nei prossimi mesi o a quali eventi prenderà parte?
Per quanto riguarda lo spazio di galleria avremo Nazzarena Poli Maramotti a giugno con testo di Cecilia Canziani, con lavori pittorici e ceramiche del tutto nuove, poi Marco Neri a settembre con una mostra inedita e Tobias Hoffknecht a dicembre con una nuova serie di sculture. A luglio al Centro Arti Visive Pescheria, a Pesaro, ci sarà la mostra di Davide Mancini Zanchi, con finalmente la pubblicazione del catalogo. Per quanto riguarda le fiere si vedrà…».