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Personale, intimo e in continua evoluzione: è Ritmo, di Stefano Cescon
Opening
«Stefano Cescon libera quella che Vasilij Kandinskij, maestro della musica nella pittura, definiva “l’anima viva dei colori”, presentata con un ritmo personale e intimo in continua evoluzione verso l’universale», racconta Sabino Maria Frassà, curatore della mostra Ritmo (visitabile fino al 19 novembre) e Direttore Artistico di Cramum.
Se frontalmente, a distanza di un anno dalla sua personale a Gaggenau Milano (Terra!), riconosciamo la stratificazione cui Cescon ci aveva abituati, la veduta (laterale) della costa delle quattro opere della serie Oltremare – allestite al principio del percorso espositivo – ci offre una nuova prospettiva: non parliamo più, infatti, di stratificazione, bensì di segmentazione.
Derivato di segmentare, il sostantivo intende la suddivisone in senso proprio e figurato in segmenti, o più genericamente in parti, in elementi vari uguali o simili tra loro; distinta – dunque – e diversa, dall’operazione di stratificare e disporre a strati come anche dall’atto e dall’effetto di stratificarsi. Al di là della linguistica, che pur ci suggerisce due regni differenti, l’uno attivo, l’altro passivo, la segmentazione di Cescon è indice di un’evoluzione del processo creativo che vede l’artista intervenire, in maniera sempre più decisa nel controllo della combinazione di pigmenti, paraffina e cera d’api.
L’intera mostra si gioca sul concetto di ritmo, che non è solo il titolo ma anche il metro di giudizio di cui Stefano Cescon si fida e a cui si affida. Non limitandoci a considerare il ritmo come un semplice ripetersi nel tempo di gesti, il percorso espositivo si apre al concetto di ciclicità dal forte significato espressivo, che si manifesta nella seconda sala, dove quattro opere di grande formato sono appese a una struttura in ferro degli anni ’60 appartenuta alla famiglia di Cescon.
Ritmo e ciclicità sono due concetti che possono assumere valenze diverse quando entrano in contatto fra loro – in particolare quando subentrano all’interno di un contesto, modificandolo – potendo assumere andamenti periodici omogenei e regolari oppure presentarsi in modo irregolare o asimmetrico. Nel Ritmo di Stefano Cescon si passa da strutture caratterizzate ritmicamente da una forte omogeneità interna ad aggregati connessi fra di loro attraverso un ordine ciclico che ne scandisce i momenti, ponendone alcuni in primo piano rispetto agli altri, secondo un processo di differenziazione interna.
La successione ritmica delle opere esposte – mi si perdoni il gioco di parole – concorre alla trasformazione stessa della nozione di ritmo rimodellandola su quella della ciclicità, con uno schema differente in ogni opera, per dare vita a forme e gradienti che sono espressione dell’universo interiore dell’artista. Non semplici pittura, la materia di Stefano Cescon si proietta nello spazio assumendo l’andamento nel procedere del gesto per cesure, iterazioni e temporeggiamenti che ripropongono la ritmicità discontinua e imprevedibile dell’esistenza, ne ricostituiscono la funzione a partire dalle proprie regolarità interne e si dispongono sul piano temporale secondo la propria articolazione e il nostro riconoscimento a livello percettivo.
È innegabile che le opere siano legate da una forte affinità che si aprono all’evento l’una dell’altra, non come trionfo della libertà assoluta, ma come ciò che oscilla tra il rispetto di un codice prestabilito e, appunto, l’imprevedibilità dell’amorosa appartenenza, sempre aperta alla venuta dell’altro, fino a formare un corpo unico.