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Da oggi, 11 novembre, la Galleria Poggiali, nella sede di Firenze, presenta la collettiva “Rhizome”, una selezione di opere di artisti della galleria che «sulla scia del concetto elaborato dai filosofi francesi Deleuze e Guattari di Rhizome, si interconnettono attraverso una relazione di carattere orizzontale priva della necessità di un centro, nella quale ogni elemento è funzionale al processo, priva di determinazioni gerarchiche proprie di un sistema verticale ad albero».
Nella mostra, che rimarrà allestita fino al 25 gennaio 2021, sono presenti opere di Manfredi Beninati, Slater Bradley, Enzo Cucchi, Marco Fantini, Luigi Ghirri, Goldschmied & Chiari, David Lachapelle, Eliseo Mattiacci, Claudio Parmiggiani, Luca Pignatelli, Grazia Toderi, Fabio Viale, Gilberto Zorio.
Il percorso espositivo
Così la galleria ha illustrato il percorso espositivo: «Nella prima parte degli spazi di via della Scala sono installati due lavori di Fabio Viale in marmo, assieme ad un Paesaggio Artificiale di Goldschmied & Chiari, un’opera realizzata fotografando in studio fumogeni colorati e associandoli con vetro e superficie specchiante in un processo poeticamente e tecnicamente alchemico e performativo.
Kouros (Hollow) a parete di Fabio Viale, uno dei primi esperimenti dell’artista piemontese di busto concavo in sospensione dal richiamo classico, concepita come una forza possente capace di uscire dal muro alla maniera di un trofeo, uno scudo, un’epidermide dirompente, o un reperto, è reduce dall’esposizione al Puskin Museum di Mosca.
Il filo conduttore del medium della fotografia introdotto da Paesaggio Artificiale, prosegue attraverso l’esposizione di lavori di Slater Bradley e Grazia Toderi, protagonisti della mostra “Making Time” del 2019, mentre si avvicendano scatti di Luigi Ghirri, adesso nella grande mostra del decennale al MAXXI di Roma “Senzamargine“, tutti pubblicati nel catalogo della Galleria del 2013 e provenienti dalle serie più celebri del maestro emiliano.
La sezione si conclude con un’opera della serie Awakened di David Lachapelle, esposta al fondo.
Le radici di “Rhizome” si allargano fino a toccare Gilberto Zorio, Stella Africa, del 1983, un lavoro particolarmente iconico nel quale la stella in porcellana è adagiata su pelle nera; Claudio Parmiggiani, del quale – dopo l’ampia mostra in Galleria “A cuore aperto” a cura di Sergio Risaliti del 2019 – è selezionata una delocazione di tre metri che ha per soggetto la celebre libreria, proposta al MAXXI di Roma in una declinazione avvolgente di ventidue tavole di oltre due metri ciascuna a formare un’intera sala senza soluzione di continuità, e una carta di Eliseo Mattiacci, che era stata presente oltre che in Galleria, anche nella monumentale monografia “GONG” al Forte Belvedere di Firenze del 2018».
«Insieme a queste opere a parete, appartenenti all’arte povera, ed esiti di due artisti noti per linguaggi che partendo da istanze poveriste hanno tracciato poetiche autonome, trova posto, ancora di Claudio Parmiggiani, l’opera Senza Titolo, consistente in un’arpa di metà settecento con farfalle, presentata nella prima mostra in un museo statunitense del maestro reggiano al Frist Art Museum di Nashville ad inizio 2019.
L’artista, che ha materializzato poeticamente l’assenza ed il passaggio del tempo, facendo in particolare depositare la fuliggine su tavola, iniziando con la frequentazione dello studio di Giorgio Morandi e riferendosi all’opera come un dispositivo capace di “colpire come un pugno nello stomaco”, precede il lavoro di Enzo Cucchi, uno dei protagonisti della Transavaguardia, la cui ossessione per la pittura, per Van Gogh, per i miti e per la tracimazione del perimetro della pittura, si manifestano nelle opere che associano, adesso in galleria, proprio la pratica della pittura al carbone e alla ceramica».
«La parte finale della galleria è dedicata al ritorno alla pittura messasi in luce sul finire degli anni novanta con Luca Pignatelli, Manfredi Beninati e Prima di Prima di Marco Fantini, opera su tavola di grandi dimensioni presentata per la prima volta nella personale al Museo Licini di Ascoli Piceno e scelta per la copertina del catalogo del progetto medesimo, per la prima volta in una galleria privata. Un’opera che sintetizza la complessità iconografica dell’artista vicentino e che ne raccoglie le sfaccettature salienti.
Di Pignatelli soggetti classici come Afrodite e Testa femminile sono presentati sul supporto del telone ferroviario che ne ha sempre contraddistinto la poetica, sia nella versione bruna originaria, sia nelle sperimentazioni aggiornate con l’introduzione del colore, del legno di recupero, oppure della carta.
Il lavoro di Manfredi Beninati, già presente alle Biennali di Venezia, Liverpool, Istanbul, Salonicco fin dal 2009, è un lavoro recente, una sintesi della dimensione intima dell’artista siciliano cui esso attinge per, attraverso la rilettura colta della letteratura non solo italiana, restituire una personale esplorazione del tema del viaggio della vita». (sc)