Alla Fondazione Antonio Dalle Nogare, a Bolzano, il 12 settembre inaugura “Time Out”, la prima retrospettiva dedicata a Robert Breer in Italia, con la curatela di Vincenzo de Bellis e Micola Brambilla.
«Pioniere nelle tecniche di animazione, Robert Breer (Detroit, USA, 1926 – Tucson, USA, 2011) fu uno dei fondatori dell’avanguardia americana ed è oggi considerato uno degli autori più innovativi nel cinema sperimentale. L’intera opera di Breer è una riflessione sulla possibilità di catturare il tempo, confondendo i confini tra l’immagine astratta e figurata, il movimento e la staticità, l’oggetto e il soggetto. Attraverso una selezione di più di settanta opere la mostra ripercorre tutti i sessant’anni di carriera dell’artista: dalle prime ricerche nell’ambito della pittura astratta e del neo-plasticismo, attraverso la sperimentazione con l’immagine in movimento e con una forma di animazione del tutto anticonvenzionale, fino ad arrivare ai Floats, le celebri sculture mobili, vere e proprie evoluzioni nello spazio tridimensionale delle forme astratte e anti-narrative che caratterizzano la ricerca pittorica e cinematografica dell’artista», ha spiegato la Fondazione.
Come è nata la mostra e da dove provengono le opere esposte?
Vincenzo de Bellis: «Il mio interesse per il lavoro di Robert Breer va molto indietro nel tempo, lo avevo incontrato in occasione di una sua mostra personale prima che ci lasciasse. Poi, negli ultimi quattro anni, ho approfondito la mia ricerca sopratutto riguardo i Floats. Una serie di questi in particolare, variations del 1970, di cui una selezione è inclusa in questa mostra, è stata per me oggetto di grande attenzione ed è diventata anche la copertina del catalogo di “The Paradox of Stillness: Art, Object and Performance“, una grande collettiva che affronta il tema del movimento e della fissità dalle avanguardie ad oggi, che doveva inaugurare al Walker Art Center ad aprile 2020 e che ora è prevista per maggio 2021.
In questa occasione ho stretto molto i rapporti con gli eredi ed è venuta l’idea di realizzare la sua prima personale in Italia. E in seguito abbiamo deciso di spingerci ancora più in là realizzando una vera e propria retrospettiva».
Su quali aspetti del lavoro di Beer si sofferma, in particolare, questa mostra? Perché avete scelto questa impostazione?
Vincenzo de Bellis: «Essendo una retrospettiva, si sofferma su tutti gli aspetti del lavoro di Beer. A partire dalla sua pratica pittorica degli esordi fino ai Floats più recenti.
Chiaramente essendo stato Breer una figura fondamentale per lo sviluppo dell’immagine in movimento come forma di arte visiva, c’è una vasta selezione dei suoi film sperimentali e chiaramente una grande selezione delle sue opere più iconiche quali i Floats che sono delle sculture/oggetti cinetiche/cinetici che si muovono nello spazio.
Inoltre, in “Time Out”, troviamo anche gli aspetti meno noti al pubblico ma molto importanti dal punto di vista artistico e curatoriale ovvero i suoi disegni, un link cruciale tra la sua pratica di film sperimentali e quelle dei Floats».
Come sarà strutturato il percorso espositivo?
Micola Brambilla: «In mostra abbiamo voluto raccogliere un vasto numero di opere che rappresentasse al meglio le varie anime che costituiscono l’opera di Breer. La sua, infatti, è stata una ricerca estremamente libera che ha spaziato attraverso diversi media, dalla pittura, al film, al disegno, alla scultura, ma che nonostante la sua eterogeneità è caratterizzata da una forte coerenza.
La mostra è strutturata in modo da celebrare le diverse fasi del lavoro di Breer, con l’intento – esponendo questi diversi gruppi di lavori tutti insieme, in un unico spazio – di mostrare l’evoluzione della sua ricerca sulle tematiche del tempo e del movimento, una costante che corre lungo tutta la sua produzione. Partendo da una serie di dipinti realizzati a Parigi negli anni Cinquanta, la mostra prosegue quindi con un’importante selezione di film, che mostra il progresso delle sue sperimentazioni con la tecnica dell’animazione e con la pellicola. C’è inoltre un vasto corpus di disegni che costituisce la base della progettazione dei film e delle sculture. Infine abbiamo voluto esporre una selezione importante di sculture che Breer chiamava Floats e che sono forse le sue opere oggi più iconiche: opere fluttuanti, che si muovono impercettibilmente nello spazio e riconfigurano di continuo l’ambiente della mostra».
Potete suggerirci un paio di opere su cui soffermarci nel percorso espositivo?
Vincenzo de Bellis: «Ci sono troppe opere fantastiche per potermi soffermare su un paio.
Lo so che può sembrare retorico ma le opere sono davvero una più bella dell’altra.
Per questo suggerirò invece di soffermarci su una vetrina in mostra all’interno della quale sono esposti una serie di apparati: cataloghi, oggetti, inviti ecc.
Breer era attento a tutti questi aspetti e questa vetrina rappresenta un microcosmo che racconta come la sua arte e la sua personalità fossero ancora più interrelati di quanto non lo siano tanti altri artisti».
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