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Se Gian Maria Tosatti è BaRock

di - 1 Agosto 2018
Nonostante la ventata di contemporaneo che da tempo gonfia le vele a Palermo dell’intelligente politica culturale di Leoluca Orlando, Catania tuttavia conferma la sua naturale vocazione di timoniere dell’isola attraverso i flutti agitati della ricerca artistica dei nostri giorni. Primato, quello catanese, non certo conseguito, fino a oggi, a opera di un’amministrazione pubblica attenta e sensibile che, anzi, ha preferito più mostre del tipo “blockbuster”. E, al riguardo, speriamo che la nuova giunta della città di sant’Agata, fresca di insediamento, imprima una decisa virata verso ben altri lidi. Lungo una rotta che negli ultimi anni è stata già tracciata da un manipolo di privati locali. Volitivi, coraggiosi, sognatori. Tra realtà profit e no-profit. Dalla galleria Collicaligreggi alla Fondazione Brodbeck, dalla Fondazione Oelle a Radicepura, da BOCS (Box Of Contemporary Space), il primo “artist run space” di Catania, a Ritmo, uno spazio indipendente situato nel quartiere storico della “Fera o Luni”. Tra questi c’è una new entry. Il suo nome è unfold, associazione culturale con sede a Palazzo Biscari, fondata dal giovanissimo Pietro Scammacca. Proprio a quest’ultimo si deve l’installazione site specific di Gian Maria Tosatti (Roma, 1980) intitolata “Il mio cuore è vuoto come uno specchio – episodio di Catania”. Così Palazzo Biscari, una delle più importanti residenze barocche della Sicilia, ha aperto le sue porte all’arte contemporanea. Con un progetto ambizioso, curato da Adele Ghirri, Ludovico Pratesi e dallo stesso Scammacca che, in gran parte, se lo è autofinanziato. Un progetto che decisamente non è passato inosservato. A giudicare dagli ospiti del gremito vernissage, dove sono stati visti, tra gli altri, Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, Vicente Todolì (Pirelli HangarBicocca) e Sean Anderson (MoMA). Ma entriamo nel merito del lavoro che, annuncia lo stesso Tosatti, costituisce il primo capitolo di un suo lungo pellegrinaggio attraverso l’Europa. Tra le macerie della Storia moderna che allunga ancora le sue ombre sul presente, e i germogli di un tempo nuovo, forse una Nuova Storia. Quello ordito dall’artista romano è un percorso iniziatico. E, come tale, da compiersi individualmente. Uno alla volta, come in un confessionale. Aprendo l’anta sinistra di un portone monumentale, ai cui lati spiccano dei rami cerulei (concepiti per resistere alla canicola estiva), quasi a segnalare “Terribilis est locus iste”. Luogo che si snoda dai tre grandi saloni d’ingresso fino al grandioso Salone delle Feste. Agli occhi di chi incede, alla luce fredda di neon che riempiono i primi spazi di un unico suono metallico, ossessivo, ci si imbatte in una sorte di fauce spalancata sulla post-modernità, sul modello tecnocratico (incremento della produzione col minimo costo economico) che domina la scena attuale, in compagnia dell’aumento delle disuguaglianze sociali, della depauperazione del Terzo e Quarto Mondo, del degrado ambientale, del pericolo di un olocausto nucleare, della marginalizzazione e delle ondate migratorie. Il passaggio disegnato da Tosatti sussulta tra prove di decadenza e segnali di resilienza. Mentre la penombra si infittisce man mano che le orme si susseguono, fino a deflagrare nella semi-tenebra del Salone delle Feste, trafitta solo da una luce zenitale naturale. Che si riflette sul manto di sale, sulle oltre sei tonnellate di cristalli, aggregati granulari o fibrosi, in croste e in stalattiti, che ricoprono l’ambiente in ogni suo pertugio. Non sale marino, ma estratto da giacimenti saliferi sotterranei. Un richiamo a una specie di ventre materno e, pertanto, al luogo della generazione e formazione dell’essere umano nelle sue componenti fisiologiche, psicologiche e trascendentali? Chissà. Eppure i segni ambivalenti in questo progetto sono molteplici. A partire dalla stessa oscurità, o semi-oscurità, dei luoghi. Allusione alla cenere che incupisce gli umori della città etnea, li forgia. In un’alternanza tra distruzione e resurrezione. Proprio dalle ceneri, come una fenice. Se quindi l’installazione odierna rivela, da un lato, un’inedita vague “dark”, non scevra di una certa fascinazione, di Tosatti, dall’altro conferma una sua indole neobarocca o, meglio, “BaRock” (neologismo che ho preso in prestito dal titolo della grande mostra collettiva tenutasi al Madre di Napoli “BAROCK – Arte, Scienza, Fede e Tecnologia nell’Età Contemporanea”, a cura di Eduardo Cicelyn e Mario Codognato). Perché Tosatti ripropone ormai da tempo, oltre all’accumulazione barocca di particolari, soprattutto il problema dell’estetica barocca, proprio quando si assiste ormai da tempo al ritorno delle diseguaglianze e del dominio del più forte che fa nuovamente passare di moda la fiducia nella ragione. Quando le attuali rivoluzionarie scoperte scientifiche, tecnologiche e il relativismo etico che ne consegue mettono, giorno dopo giorno, in discussione le certezze e le abitudini acquisite; mentre il fervore religioso degenera nel fondamentalismo, nell’oscurantismo e in scontri tra civiltà con massacri sanguinari. Quando, per riprendere l’analisi di José Antonio Maravall in un libro diventato un classico (La cultura del Barocco, il Mulino), “i ricchi provenienti da ogni classe sociale conducono imprese gravemente nocive per la comunità”. Tale spaesamento dell’immaginario contemporaneo risulta, pertanto, essere determinato da conflitti ideologici ed esperienze tragiche, per questioni non troppo diverse da quelle che definirono il secolo di Galileo e della Controriforma. A tal punto che, alle soglie degli anni Novanta, al passaggio nella cosiddetta postmodernità dove la mistica del mercato prendeva il sopravvento, alcuni critici cominciarono già a parlare proprio di neobarocco. Di un barocco “BaRock” che scardina il contemporaneo già dal sound della sua cultura estetica. Come quella di Tosatti, nel suo presupposto che “arte” coincide con “artificio” e che è indispensabile riprodurre la realtà, a patto che sia irreale. (Cesare Biasini Selvaggi)
INFO
Gian Maria Tosatti. “Il mio cuore è vuoto come uno specchio – episodio di Catania”
a cura di Adele Ghirri, Ludovico Pratesi e Pietro Scammacca
dal 16 luglio al 18 agosto 2018
Palazzo Biscari
via Museo Biscari 10, Catania
orari: dal lunedì al sabato, 10.00-13.00 / 16.00-19.00; domenica su prenotazione

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