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Qual è la molla del meccanismo mediatico che trasforma una fotografia in icona? Un’immagine laica in “sacra”? È certamente l’emozione che riesce a produrre, non le sue qualità formali. Un’emozione a rilascio prolungato, con effetti permanenti, nell’immaginario individuale come in quello collettivo. Che non si sfibra nel tempo. Anzi, che tende a rinvigorirsi. Giorno dopo giorno.
Lo sa bene il grande fotografo contemporaneo statunitense Steve McCurry, autore di uno degli scatti divenuto icona del cosiddetto “secolo breve”.
Classe 1950. Infanzia in un sobborgo di Philadelphia, in Pennsylvania. Studi alla Pennsylvania State University. Alcuni anni di attività come fotografo freelance, quindi il primo di una lunga serie di viaggi in India. Dopo diversi mesi si trova ad attraversare il confine con il Pakistan. In questa occasione incontra un gruppo di rifugiati provenienti dall’Afghanistan che lo aiuta a passare illegalmente la frontiera del loro Paese, proprio mentre, a causa dell’invasione sovietica, veniva interdetto ai giornalisti occidentali. Con sé ha soltanto le sue macchine fotografiche, un coltellino e qualche pacchetto di noccioline. McCurry scatta le prime immagini del conflitto in Afghanistan. Pubblicate, poi, sulle testate di tutto il mondo, rivelando il volto umano di una guerra. Fino a quella foto così potente da diventare icona. Ed entrare nella storia. È il 1984. Lei ha 12 anni ed è appena fuggita dall’Afghanistan verso il Pakistan. Il viso enigmatico, circondato da un velo rosso, gli occhi verdi spiritati e penetranti. Un anno dopo è sulla copertina del National Geographic. Ormai, agli occhi del mondo, l’emblema di un Paese intero. Con il nome di “La ragazza afgana”.
Da allora McCurry ha continuato a scattare immagini sorprendenti in ogni angolo della terra, immortalando zone teatro di conflitti, testimonianze di culture che stanno scomparendo, tradizioni antiche e usanze moderne, con quello sguardo sempre attento all’elemento umano. Come nel caso del suo nuovo progetto espositivo dal titolo “Mountain Men” che si inaugura oggi in Valle d’Aosta, al Forte di Bard. Una selezione di paesaggi, ritratti e scene di vita quotidiana che indaga il continuo e necessario processo di adattamento delle popolazioni al territorio montano. Il percorso della mostra è incardinato su 77 immagini raccolte da McCurry nel corso dei suoi viaggi: Afghanistan, Pakistan, India, Tibet (foto in homepage), Nepal, Brasile, Etiopia, Myanmar, Filippine, Marocco, Kashmir, Slovenia e Yemen. Compresa la campagna fotografica condotta in tre periodi di scouting e shooting, tra il 2015 e il 2016, in Valle d’Aosta. Perché il nuovo scatto/icona è sempre dietro l’angolo. Nel luogo e nel tempo più inaspettati. (Cesare Biasini Selvaggi)
In alto: Kyaikto, Birmania/Burma, 1994 ©Steve McCurry