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Dal 9 al 12 marzo la Florence Biennale si presenta a Dubai in occasione di World Art Dubai. La partner tra le due realtà prevede la possibilità che la Biennale diretta da Jacopo Celona, mostri negli Emirati gli artisti partecipanti della XIV edizione.
Carlo Zoli, classe 1959, espone sei opere in ceramica. Discendente da una famiglia faentina dedita all’arte ceramica da generazioni, l’artista modella la creta da quasi cinquant’anni, facendone emergere figure ardite in grado di generare un esaltante effetto estetico, espressivo e narrativo, ovvero un mondo di archetipi, sogni e utopie, parte dell’immaginario collettivo le cui radici affondano nei territori misteriosi del primitivo e dell’arcaico.
In un’intervista è Carlo Zoli a raccontarci il suo percorso, i significati che racchiude e quello che mostrerà a Dubai.
Che cosa rappresenta per lei la scultura?
Carlo Zoli: «La scultura è prima di tutto una rappresentazione concreta e materiale di ciò che materiale non è. Dalle origini l’uomo ha cercato di rendere reale l’immagine astratta che aveva in mente, basti pensare alla rappresentazione degli dei antichi il cui volto conosciamo solo tramite l’arte. Alla fine il mio lavoro non è tanto differente; la mia è una necessità umana e universale, che tenta di dare una forma tangibile alle visioni che da sempre mi accompagnano nella vita. Quando realizzo un’opera, il mio, è il lavoro del demiurgo; attingo dal mio mondo delle idee, da un’unica e ben definita figurazione nella mente, cercando di riprodurla con la materia reale. Nel tempo, la stessa immagine, la posso percepire in modo diverso e di conseguenza realizzo opere con lo stesso soggetto ma molto diverse l’una dall’altra».
Come si racconterebbe, per farsi conoscere da chi ancora non la conosce? Quale percorso ha intrapreso e quali sono le tappe fondamentali della sua vita per la scultura?
Carlo Zoli: «Preferisco la definizione di ‘modellatore’ a quella di ‘scultore’ perché la materia che prediligo nel mio lavoro è l’argilla; una materia antica ma ancora attualissima che amo sentire e plasmare con le mani, e con l’aiuto degli utensili tradizionali. La mia terra è Faenza, culla dell’arte ceramica. Qui sono cresciuto tra le opere di mio padre, ne ho appreso la passione e qualche consiglio, e ne ho fatto tesoro. Io sono la quarta generazione tra i ceramisti della mia famiglia: mio bisnonno Carlo era ceramista a Borgo Durbecco a inizio ‘900, il nonno Paolo, pittore presso i fratelli Minardi e dal 1918 titolare con Pietro Melandri, Lino Fabbri e Amerigo Masotti della Bottega “La Faience”, e mio padre Francesco, pittore e modellatore, docente di Decorazione artistica all’Istituto d’Arte faentino “G. Ballardini”. Dopo essermi formato sotto la sua ala, ho iniziato usare la creta come mezzo per esprimere la mia arte piuttosto che come arte applicata».
Dai suoi esordi fino a oggi il cavallo è la sua costante ispirazione. Che cosa è per lei l’ispirazione, che valore ha oggi e come la coltiva?
Carlo Zoli: «Il cavallo ha accompagnato i primi tentativi artistici della mia vita ed è sempre rimasto un punto di riferimento. Il cavallo rappresenta una compagnia costante (fino a tempi recenti) dell’uomo, nel bene e nel male; solido ed elegante al tempo stesso, mi piace renderlo sempre autonomo in ogni mia opera, anche se non è l’unico soggetto della composizione. Il cavallo è per me l’idea della libertà e dell’intelligenza, che ad oggi coltivo e perseguo nella speranza di rendere onore a questo animale che da tempi immemori è stato sacrificato alle necessità e alle contingenze umane. Progressivamente ho attinto da storia, mitologia e leggenda, aggiungendo figure fantastiche o che richiamano archetipi, sogni e utopie, parte della memoria collettiva. L’ispirazione è lo stimolo che muove la passione e la coltivo attingendo da romanzi, film, documentari e soprattutto viaggiando, perché conoscere luoghi e persone è per me fonte viva. Acqua che sgorga».
In che modo il cavallo è diventato così rappresentativo per lei e come riesce ogni volta a declinarlo artisticamente?
Carlo Zoli: «Il cavallo è protagonista o, quasi sempre, coprotagonista nelle mie sculture; il compagno di viaggio dell’uomo nelle avventure dell’esistenza tra Tempesta e Quiete, le due vocazioni tematiche del mio lavoro, ne sono un esempio le sculture esposte a Dubai: dalla prima serie ho scelto Perseo (2014), l’uccisore di Medusa, insieme al destriero alato Pegaso, nato dal sangue versato dal collo reciso del mostro, poi Trittico mistico, Il Cavaliere fiamma rossa e Alessandro e Bucefalo, opere del 2019, che sono figure d’azione che evocano il lato bellicoso dell’essere umano e le contraddizioni della guerra tra giustificazioni spirituali e secolari, ma anche Passaggio Temporale del 2021, tra il fantascientifico e il futuribile, e, dello stesso anno ma parte della serie Quiete, Don Chisciotte con Cavallo Catafratto, il sognatore per eccellenza; sono tutti cavalieri che, uniti ai loro corsieri, parlano delle sfide della vita e dell’immaginazione come motore dell’esistenza».
Durante la sua carriera ha lavorato anche con il bronzo. Che cosa ha portato questo cambiamento? Cosa può, in termini artistici, con la ceramica rispetto al bronzo?
Carlo Zoli: «Nasco come ceramista, tuttora continuo a modellare argilla, per creare opere uniche che mantengano il tratto del mio stile e della mia mano. L’argilla mi permette di modellare i momenti che vivo personalmente, a volte sono particolarmente tempestosi, burrascosi, mentre a volte riesco a percepire quella pace interiore e quello stato d’animo che mi rende quieto, sereno, trasferendo poi sull’argilla stessa il mio essere, come un diario vivo e icastico. Ogni opera è unica, impreziosita con oro zecchino, oro bianco, foglie d’oro, bronzo, patine color bronzo, dettagli che arricchiscono, illuminano e creano il contrasto tra i colori opachi della ceramica e quelli brillanti dei materiali che scelgo. Ho sempre prediletto l’argilla fin dall’inizio, con Lei riesco a dare vita immediata alla mia idea, essendo la produzione interamente seguita da me. Mentre il lavoro con la fusione in bronzo è nato dalla volontà di misurarmi con un materiale nuovo, come evoluzione della mia produzione in ceramica, che mi ha dato modo di creare con attenzione e pazienza. È stata una parentesi felice della mia produzione, ma dopo questa esperienza creativa, che ho terminato e concluso nel lontano 2002, sono tornato a relazionarmi solo con l’argilla. L’argilla lascia più elasticità rispetto al bronzo».
Da Faenza a Dubai. Come ha concepito la selezione di opere in occasione della World Art Dubai? La sua scultura, epica e ancestrale, come si inserirà e dialogherà con una realtà come quella degli Emirati?
Carlo Zoli: «Ho selezionato opere che rappresentano il cavallo come compagno dell’esistenza umana. Il cavaliere, invece, è un elemento universale della storia di ogni popolo, indipendentemente dalla cultura. Il dialogo che vorrei suscitare interessa due civiltà: la medio orientale e la occidentale – due culture così diverse che però devono tanto l’una all’altra. Basti ricordare come la matematica sia frutto dell’avanzatissima civiltà araba, così la sua architettura e la sua stessa lingua. E, per ricollegarmi alle mie creazioni, ricordo come il cavallo arabo sia tra le razze equine più antiche, rinomate, conosciute e apprezzate al mondo. Fonte di ispirazione e di immagini da renderle “vive” attraverso l’argilla».