Esiste una “realtà aumentata”, cioè la rappresentazione di una realtà alterata in cui, alla normale realtà percepita dai nostri sensi, vengono sovrapposte informazioni artificiali e virtuali generate dai nuovi media elettronici. Così come esiste pure una “natura aumentata”, in cui i suoi diversi elementi sono ricreati artificialmente “in vitro”, mettendo così in discussione la percezione del visitatore all’interno del suo sistema sensoriale. E, probabilmente, persino oltre. È questo l’alveo all’interno del quale si inserisce la ricerca dell’artista e performer cantabrico Nacho Zubelzu (Reinosa, 1966). Artista “nomade” di fama internazionale, negli ultimi anni in cammino tra Kenya, Gambia, Cina, Mongolia, Cile e Brasile. Viaggi che hanno informato i suoi lavori più recenti, conducendolo a interiorizzare la bellezza degli elementi naturali incontrati. E a restituirli in una specie di ricostruzione mediata dall’inconscio e meta-reale nei suoi frammenti, contraddistinti come sono da un patchwork di materiali sintetici e non: carta, carta incerata, cuoio laminato, ecopelle, lana, foglia d’oro, skai e pellicola radiografica. Ritagliati, annodati, cuciti sulla tela. È grazie a questa linguaggio alternativo che l’artista spagnolo è in grado di dare vita a una serie di spazi incontaminati. Nel piacere della fantasia, del gioco che, come ben sa chi è stato bambino in un tempo lontano, non si nutre solo di oggetti tecnologici, costosi, ma anche del puro desiderio di assemblare, di inventare, di prefigurare ciò a cui cose, magari “povere”, anche profondamente diverse, l’una sull’altra innestate, possono dare vita.
Lavori che, attraverso questa sapiente lavorazione artigianale e una colta lettura antropologica, acquisiscono pertanto un’inedita forza espressiva, evocando ora orografie di montagne osservate da prospettive satellitari, ora labirinti sul territorio che affondano le radici nelle emozioni umane. E che, nel contempo, sono coerenti con il mondo contemporaneo e con il suo immaginario tecnologico.
Le opere di Zubelzu, da oggi nella mostra “Pendiente de un Hilo” (“Appeso a un filo”) negli spazi romani della galleria italo-spagnola Honos Art, appaiono pertanto motivate da intenzionalità che rimandano a dinamiche psicologiche profonde, giungendo a porre anche questioni di rilievo sociale. A partire dalla complessa, sempre più delirante e precaria convivenza tra uomo e natura. E dalle fibrillazioni di quest’ultima che, recentemente, abbiamo conosciuto nelle vesti di Irma e Harvey. Gli uragani devastanti.
Nella consapevolezza che in arte le scelte linguistiche sottintendono sempre una visione del mondo e una lettura della sua attualità, i recenti ricami polimaterici su tela di Zubelzu ci ricordano come la creatività, la poesia, la passione o la vita, insomma tutte le evenienze umane, siano appese a un filo. «Il quale – per dirla con le parole del nostro artista – se non si allontana dall’ago, mai si perderà in questo immenso pagliaio, che è il mondo». (Cesare Biasini Selvaggi)
In homepage e in alto: Nacho Zubelzu, Óseo III, 2017. Pellicola radiografica su tela, 60 x 80 cm
INFO
Opening: ore 18.30
Nacho Zubelzu
Pendiente de un Hilo
Honos Art
via dei Delfini 35, Roma
tel. 06 31058440
www.honosart.com
orari: martedì-sabato, dalle 11.00 alle 19.30