È CAMERA. Centro italiano per la fotografia, a Torino, a presentare in anteprima assoluta l’attesissima opera “Winter” di Sandy Skoglund (1946). La fotografia, a cui l’artista statunitense ha lavorato per dieci anni, è il fulcro della sua prima vera antologica, Visioni Ibride, curata da Germano Celant. La mostra è strutturata con un andamento circolare e raccoglie un centinaio di lavori di Skoglund (tra cui una trentina di scatti di grande formato): dalle prime serie fotografiche realizzate a metà degli anni Settanta, fino alle grandi composizioni dei primi anni Ottanta per culminare in “Winter”, in un percorso che espone anche sculture provenienti dalle installazione create per realizzare le fotografie. Ogni immagine della Skoglund, infatti, spiega il museo, nasce «- sempre – dalla costruzione di un set, estremamente complesso, che l’artista poi fotografa: un procedimento che ben spiega la rarefatta produzione dell’artista e la peculiarità della suo percorso visuale, che è al tempo stesso installativo, scultoreo e fotografico».
Abbiamo posto alcune domande a Walter Guadagnini, direttore di CAMERA, per entrare nel vivo di questa mostra, tra le più attese del 2019.
Partiamo dall’anteprima di un’opera che sta suscitando grande interesse e moltissima curiosità: che tipo di lavoro è Winter?
«Winter è un’opera che ha impegnato Sandy Skoglund per dieci anni, forse basterebbe questo a chiarirne l’importanza e la centralità nel suo percorso creativo. È il secondo capitolo di un ciclo dedicato alle stagioni, iniziato nel 2008 con Fresh Hybrid, anch’esso in mostra. È un grande tableau, una composizione complessa, ricca di rimandi simbolici all’iconografia dell’inverno. Come ha scritto la stessa artista “Winter è uno studio sulla perseveranza e sull’ostinazione: un paesaggio artificiale che celebra la bellezza e le spaventose qualità della stagione più fredda”. Ma è anche il frutto di un incredibile tour de force tecnico: la Skoglund infatti ha come sempre costruito personalmente tutto il set e i personaggi e gli animali che agiscono in esso, ma questa volta avvalendosi di tecnologie modernissime, che ha voluto imparare per poterle interamente dominare. Una sfida nella sfida, che fa comprendere sia l’atteggiamento dell’artista nei confronti della creazione, sia la sua determinazione. In mostra ci saranno sia la fotografia frutto di questo processo, che alcune delle sculture e degli oggetti che compongono la scena».
La mostra è prima antologica di Sandy Skoglund. Che cosa potremo vedere in mostra e come avete strutturato il percorso espositivo?
«In mostra si potrà vedere l’intera produzione della Skoglund, dai primi lavori di stampo ancora post-minimal e post-concettuale agli iconici interni popolati di presenze stranianti degli anni Ottanta, fino ai cicli più recenti. Si tratta della sua prima vera antologica, composta da oltre un centinaio di pezzi. Skoglund fa parte di quegli artisti legati ad alcune immagini che sono entrate nell’immaginario collettivo (penso ai celeberrimi pesci rossi nella stanza, o le volpi nel ristorante), ma noi naturalmente vogliamo portare a conoscenza origini e sviluppo della ricerca, così da evidenziarne la centralità nel panorama fotografico, e artistico in senso lato, a cavallo tra XX e XXI secolo. Il percorso, voluto da Germano Celant che ha curato la mostra e la sua narrazione, ha un andamento ciclico, evidenziando l’unitarietà dell’ispirazione dell’artista. Ed è punteggiato dalla presenza di quelle sculture che sono parte integrante del lavoro della Skoglund, segni tangibili di una pratica artistica davvero singolare».
Quali sono i cardini della ricerca di Skoglund? Come nascono i suoi lavori?
«I lavori della Skoglund nascono innanzitutto come riflessione sul vivere contemporaneo: il primo impatto con le sue immagini spinge a una lettura in direzione fantastica, di matrice onirica e surrealista, ma guardando in profondità ci si accorge come l’elemento perturbante derivi dall’assoluta ordinarietà delle scene e delle ambientazioni. Peraltro, questo si capisce chiaramente vedendo le opere degli anni Settanta esposte in mostra, dove il quotidiano si trasforma attraverso piccoli spostamenti dello sguardo, minime infrazioni che fanno collassare la normalità degli interni domestici. Da qui alle invasioni ferine delle grandi composizioni dei decenni successivi il passo è più breve di quanto non appaia a prima vista: aumenta sicuramente la complessità della composizione, il clima si fa più visionario, ma le tematiche rimangono fondamentalmente le stesse, il rapporto tra natura e artificio, tra ordine e disordine, tra fisicità e spiritualità, il tutto all’interno di una rappresentazione modellata su alcuni dei topoi dell’american way of life, primo tra tutti il cibo. Tecnicamente, Skoglund è stata una delle pioniere della staged photography, insieme a Jeff Wall e Cindy Sherman. Le sue composizioni sono un insieme di diverse discipline, tanto che lei non si definisce né fotografa, né scultrice, ma “image-maker”. Penso che per il pubblico sarà una scoperta interessante vedere i personaggi delle sue opere prendere corpo in mostra, svelando quello che la fotografia volutamente nasconde».
Come si inserisce questa mostra nella programmazione di CAMERA?
«La mostra è parte della ricognizione sulle grandi figure della contemporaneità che sin dall’inizio è tra le prerogative della programmazione di CAMERA, come dimostra ad esempio il fatto che la mostra inaugurale dello spazio, tre anni fa, sia stata dedicata a Boris Mikhailov. Allo stesso tempo, per CAMERA è fondamentale porre sempre la fotografia al centro di un discorso più complesso, che può essere sia di natura specificamente sociale, sia di natura artistica: in questo caso, l’idea è quella di far vedere una fotografia fortemente contaminata, una fotografia che è il risultato di un processo che coinvolge la scultura, la pittura, la scenografia. La mostra viene non casualmente dopo quella dedicata alla Pop Art, nel quale la fotografia aveva molteplici funzioni oltre a quella documentaria, e si legava direttamente alla pittura e alla grafica, e dopo l’antologica di Carlo Mollino, che era primariamente un architetto. Lo scopo è quello, all’apparenza paradossale ma secondo me fondamentale, di dimostrare la centralità della fotografia nell’arte e nella società del XX e del XXI secolo uscendo dalla sua specificità disciplinare». (Silvia Conta)
Sandy Skoglund
Visioni ibride
A cura di Germano Celant
Dal 24 gennaio al 24 marzo 2019
CAMERA – Centro Italiano per la Fotografia
Via delle Rosine 18, Torino
Opening: mercoledì 23 gennaio
Orari: lunedì dalle 11.00 alle 19.00, martedì chiuso,
mercoledì dalle 11.00 alle 19.00,
giovedì dalle 11.00 alle 21.00, dal venerdì alla domenica dalle 11.00 alle 19.00.
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