Prometeo Gallery Ida Pisani, i cui spazi sorgono in zona Ventura nei pressi della stazione di Lambrate, accoglie la personale dell’artista e fotografa che più di tutti ha portato in auge tematiche legate all’attivismo e alla lotta per i diritti delle comunità LGBTQIA+. Di Zanele Muholi sono esposte una serie di fotografie, rigorosamente in bianco e nero, in una sorta di tributo alle proprie origini e alla madre, il cui nome è inserito nel titolo della mostra curata da Francesca de’ Medici. Un omaggio agli antenati e alla forza che rende il lavoro dell’artista-attivista unico nel proprio genere. Muholi fanno ritorno a Milano, per la prima volta presso la galleria di Lambrate, con un progetto iniziato nel 2012, per il quale è prevista la pubblicazione in tempi brevi di un secondo volume che documenta l’evoluzione del suo approccio “pacatamente sovversivo”. Il lavoro di Sir Muholi (l’artista utilizza i pronomi they/them/their per identificarsi) nasce dall’esigenza di raccontare storie di persone tenute a bada. Minoranze che finalmente possono esprimere la propria insofferenza nei confronti di una società, in particolar modo quella sudafricana, che non ha mai dato loro modo di esplorare la propria intimità e di raccontare la storia di milioni di gay, lesbiche, bisessuali, transgender, queer e intersessuali di colore.
Muholi avrebbero dovuto terminare la serie nell’arco di dodici mesi. Le potenti immagini celebrative dell’artista, che nel corso degli anni ha assistito a una radicale trasformazione del mondo per quel che concerne la considerazione dei diritti delle comunità LGBTQIA+, rappresentano l’incarnazione dello spirito dell’Ubuntu, concetto introdotto da Nelson Mandela come “senso profondo dell’essere umani solo attraverso l’umanità degli altri”. Con ritratti suggestivi e caratterizzati da un’estetica volutamente evocativa e ipnotica, Muholi parlano alla comunità nera, nell’epoca in cui il movimento del Black Lives Matter ha segnato un prima e un dopo nella lotta al razzismo. Si rivolgono alle donne, agli omosessuali e a tutti coloro che almeno una volta nella vita si sono sentiti esclusi. La loro arte si configura quindi come grido di protesta a sostegno degli emarginati. Un’indagine personale che prevede la sola presenza dell’artista dietro l’obiettivo, a testimonianza di quanto Muholi sentano e facciano proprie tematiche di straordinaria attualità. «Non utilizziamo mai luce artificiale. Non facciamo mai scattare foto ad altri. L’oscurità dei ritratti evidenzia un contrasto tra chiaro e scuro: siamo già neri, non dobbiamo aggiungere altri effetti. Crediamo che l’obiettivo sia quello di identificare e mettere in primo piano il profilo di persone che non hanno mai avuto voce in capitolo, neanche nell’ambiente delle arti visive».
La mostra milanese propone una riflessione intima sull’esplorazione dell’identità personale, sulla giustizia sociale e sul legame esistente tra politica e questioni di genere. «La definirei un’indagine sociologica. L’idea è quella di condividere le opere, senza limitarci a quanto fatto in Faces and Phases. Lavoriamo ad altri progetti che riguardano le donne transgender e che vengono portati avanti tra uno spazio e l’altro”. Muholi approdano in Italia nel 2008 per la prima volta. In questi quindici anni il loro lavoro si è allargato, ha ricevuto il plauso della critica specializzata e li ha accompagnati in una lotta a viso aperto contro un sistema fatto di ingiustizie e repressione. Muholi, che hanno recentemente ricevuto un Dottorato honoris causa motivato dall’importanza dell’impegno nell’attivismo presso l’Università di Liegi, sottolinea la necessità di utilizzare la fotografia, e quindi il ritratto, come unico medium possibile per l’affermazione dell’individuo. «Le nostre fotografie non sono politiche e i protagonisti non sono semplici soggetti. I nostri lavori servono piuttosto a esprimere l’energia di queste persone. Troviamo che fotografare sia il modo migliore per evidenziare il punto di vista di chi ha vissuto quotidianamente la violenza e il rifiuto».
La macchina fotografica diviene lo strumento per parlare di queste atrocità. Un mezzo immediato ma in grado di aprire una finestra su tematiche mai trattate con tale riguardo da nessun altro artista visuale.
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