Il dipinto, realizzato dal Caravaggio tra il 1605 ed il 1606, fu rifiutato dai religiosi che lo avevano commissionato, i Carmelitati di Santa Maria della Scala a Roma, in quanto considerato indecoroso e sconveniente. Secondo il Baglione, pittore e rivale di Caravaggio, il quadro scandalizzò in quanto ritraeva la Madonna gonfia e con le gambe scoperte. In effetti, nel contratto di commissione del dipinto, recuperato solo di recente, vi sono precise disposizioni secondo cui la Vergine avrebbe dovuto essere raffigurata cum omni diligentia et cura, ovvero rispettando sia iconograficamente che formalmente le rigide direttive controriformistiche allora vigenti. Secondo quanto deciso dalle più alte cariche ecclesiastiche, i pittori dell’epoca dovevano attenersi scrupolosamente a delle precise norme stilistiche, che regolavano tutti gli aspetti inerenti alla realizzazione di un dipinto destinato ad essere esposto in un luogo sacro.
Caravaggio, rifiutandosi di aderire a questi rigidi principi, si dimostrò artista indipendente e coraggioso, infatti, il non rispettare tali disposizioni significava veder tolti i propri dipinti dalle chiese. E ciò accadde anche per questo dipinto che, dopo essere stato rifiutato dai committenti, fu messo in vendita. Venne acquistato, per conto del duca di Mantova, da Paul Rubens, nel 1607, che lo ritenne una delle opere più riuscite del pittore lombardo.
Tutti i personaggi del dipinto sono rappresentati nella parte bassa della tela, mentre in alto è dipinto unicamente un ampio drappo rosso scarlatto, molto chiaroscurato, che contribuisce a conferire tragicità alla scena.
Un piccolo gruppo di personaggi è ritratto nell’atto di vegliare il corpo della Vergine, steso su uno spoglio catafalco. Maria, con indosso un abito rosso, ha una posa naturale, con una mano sul grembo e con il braccio sinistro steso su un cuscino. Del suo corpo, gonfio e livido, s’intravedono anche i piedi nudi.
Caravaggio non volle dipingere la santa incorrutibilità del corpo di Maria, ma quello di una vera donna, da poco deceduta. Nella sua poetica, infatti, dipingere “dal vero”, lavorando con scrupolo sulla veridicità di ogni particolare, non toglie grandezza al soggetto sacro dipinto. Al contrario, permette di accostarvisi in modo più semplice ed immediato. Caravaggio non si sente blasfemo nel ritrarre i piedi della Vergine, o il suo ventre gonfio, in quanto la santità della Madre di Cristo non risiede in tali particolari meramente terreni. Quest’interpretazione permette al pittore di ritrarre una scena di umano dolore, non celato ed immediatamente comprensibile anche agli spettatori più umili. Uno degli elementi più rivoluzionari della poetica caravaggesca consiste proprio nella ricerca di Dio nel mondo degli umili e dei poveri.
Le tendenze naturalistiche e popolari, presenti in quasi tutti i quadri di questo periodo romano, si accompagnavano ad un attento studio della luce, in questa fase sempre fortemente chiaroscurata. Secondo Caravaggio, l’opposizione di luce ed ombra era particolarmente conforme alla gravità dei temi religiosi. Nella Morte della Vergine la luce, che scende obliquamente dall’alto, si posa dapprima sulle teste calve degli apostoli piangenti, per poi distendersi sulla figura di Maria e sulla Maddalena china davanti a lei.
Gli Apostoli sono tutti disposti su assi verticali, l’unico elemento orizzontale che vi si contrappone è il corpo senza vita di Maria.
Ad eccezione del drappo scarlatto, l’unico oggetto rappresentato nella composizione, significativamente povera e spoglia, è un catino di rame collocato ai piedi degli apostoli e contenente la soluzione d’aceto necessaria al lavaggio del cadavere, da qualcuno interpretato come un’inconscia attestazione di sfiducia nella Resurrezione, da parte del pittore.
bibliografia essenziale.
S. Bottari, Caravaggio, Firenze, 1966.
R. Longhi, Caravaggio, Roma, 1982.
M. Gregori, Caravaggio, Milano, 1996.
M. Calvesi, La realtĂ del Caravaggio, Torino, 1998.
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elena londero
progetto editoriale a cura di daniela bruni
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...vorrei aggiungere che la donna morta presa a modello da Caravaggio era annegata nel Tevere e recuperata presso Ponte Palatino, tutto sotto la acuta osservazione di Michelangelo Merisi che ne rilevò il particolare drammatico ancorchè macabro del ventre gonfio (di acqua) e del volto livido dal freddo del biondo Tevere. Occasione irripetibile per ribadire il concetto tanto caro all'artista sull'immenso valore da attribuire ai poveri, agli umili, brutti e straccioni ma soprattutto morti, caducei come gli oggetti inanimati (natura morta) e i cadaveri dell'esistenza.
Caravaggio a Baghdad...!