Sulla tela un’immagine dipinta in modo così verosimigliante da non lasciare dubbi. Rappresenta sicuamente un oggetto chiamato pipa. Una didascalia da abbecedario afferma però che no, Ceci n’est pas une pipe. A questo proposito scrisse il filosofo Michel Foucault nel saggio omonimo: “paragonato alla tradizionale funzione della didascalia, il testo di Magritte è doppiamente paradossale. Si propone di nominare ciò che, evidentemente, non ha bisogno di esserlo (la forma è troppo nota, il nome troppo familiare). Ed ecco che nel momento in cui dovrebbe dare un nome, lo dà negando che sia tale.” La didascalia contesta dunque il criterio di equivalenza tra somiglianza e affermazione e afferma che la pipa del quadro è solo la rappresentazione di un oggetto tangibile che non ha niente a che vedere con essa.
René Magritte (1898-1967), grande protagonista del surrealismo, dipinse più volte durante la sua vita il quadro con la pipa e la sua didascalia; la prima volta nel ’26, l’ultima negli anni ’60. Vari i titoli: dal classico Questo non è una pipa a L’alba agli antipodi, passando per Il tradimento delle immagini e I due misteri. Mentre in alcune versioni il quadro è composto semplicemente dalla realistica raffigurazione di una pipa corredata da una didascalia che contraddice quanto sopra, in altri il motivo appena descritto appare su di un quadro (o una lavagna) appoggiato a un cavalletto mentre in alto aleggia fluttuante una pipa più grande, grigia e indefinita. In questa versione il mistero s’infittisce: cosa significa la grande pipa grigia? Sta a simboleggiare l’idea platonica di “Pipa”, aleggiante nell’iperuranio, o è solo un dispositivo per confondere ancor di più chi guarda? Qual è insomma la vera pipa? Nessuna delle due ovviamente.
Il messaggio di Magritte è infondo abbastanza chiaro, ovvero: attenzione, rappresentazione non significa realtà, l’immagine di un oggetto non è l’oggetto stesso! La pipa del quadro non si può fumare così come le mele delle nature morte non si possono addentare…
Foucault vide nell’arte di Magritte degli elementi ancora più rivoluzionari che nell’astrattismo di Klee o Kandinskj. Apparentemente lontani, i tre artisti hanno in comune- secondo il filosofo- l’aver scardinato il sistema gerarchico, vigente nell’arte, tra realtà, rappresentazione e significato, in particolare Magritte è impegnato a “separare scrupolosamente, crudelmente, l’elemento grafico dall’elemento plastico: se ad essi accade di trovarsi sovrapposti all’interno del quadro, come una didascalia e la sua immagine, è a condizione che l’enunciato contesti l’identità esplicita della figura e il nome che si è pronti a darle”.
Ossessionato dai nomi e dalle cose, Magritte ha molto giocato con le forme e la loro definizione, come in un altro quadro L’uso della parola (1928) in cui due macchie informi quasi identiche portano rispettivamente le didascalie “Corpo femminile” e “Specchio”; un’operazione ironica che vuole esprimere la consapevolezza della discrepanza tra parola e oggetto. Il critico Robert Hughes definì i suoi quadri “istantanee che fotografano l’impossibile… vignette sul linguaggio e sulla realtà, imprigionati nel reciproco annullamento”. Tra i surrealisti il pittore belga si è ritagliato un ruolo a sé: non ne condivise gli eccessi nello stile di vita e anche artisticamente si affidò a uno stile piatto, noioso, di precisa, realistica descrittività. I soggetti dei suoi quadri sono oggetti banali: una mela, un ombrello, una bombetta, dipinti così realisticamente da sembrare usciti da un libro illustrato per ragazzi. Ciò che inquieta e sorprende è la giustapposizione incongrua di essi o l’abisso che si apre improvvisamente negli scenari più rassicuranti e familiari.
La riflessione di Magritte ha aperto a operazioni come quelle dell’artista concettuale Joseph Kosuth (U.S.A. 1945) che nel ’65 espose per la prima volta l’opera Una e tre sedie, l’accostamento di una sedia, una sua fotografia e l’ingrandimento della pagina di un dizionario che ne dà la definizione linguistica. Ed è con Kosuth che si è giunti all’esplicitazione dei quadri con la “pipa” di Magritte. Il cerchio forse si chiude.
bibliografia essenziale
P. Waldberg, René Manritte, Bruxelles, 1965
R. Magritte, Tutti gli scritti, Milano, 1979
M. Foucault, Questo non è una pipa, Milano 1988
D. Sylvester, Manritte, Anversa-Torino, 1992
R. Hughes (a cura di), Manritte, Milano, 2001
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René Magritte
Ceci n’est pas une pipe
1928-29 olio su tela (60×81 cm)
Los Angeles County Museum of Art, Los Angeles California
ottilia braccini
progetto editoriale a cura di daniela bruni
[exibart]
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Veramente nella bibliografia "essenziale" vi siete dimenticati:
S. Gablik, "Magritte", Rusconi, Milano 1988;
G. Cacciavillani (a cura di-), René Magritte. "La Combinazione della mia arte", Amadeus, Treviso 1991;
G. Cortenova, "Magritte", inserto redazionale allegato a "Art e Dossier", n. 59, luglio-agosto 1991, Giunti, Firenze;
A. M. Hammacher, "Magritte", Garzanti, Milano 1981;
P. Waldberg, "René Magritte", André De Rache, Bruxelles 1965.
F. Menna, "La linea analitica dell'arte moderna. Le figure e le icone", Einaudi, Torino 1975.
E bisognerebbe citare anche Wittgenstein (vedi Gablik, Schneede e un articolo di Vivarelli), Heidegger (vedi "Tutti gli scritti" e Cacciavillani) e Freud.
... è ancora qui, comunque.
Questa presa di posizione di Magritte mi ha sempre affascinato, trovo che sia una chiave importante per spiegare il rapporto fra figurativo e astratto.
Magritte suggerisce che fra immagine e oggetto rappresentato c'è la stessa distanza che esiste fra parola/significato e oggetto cui si riferisce. La parola non è l'oggetto ma alla fine l'abitudine e l'uso finisce per confonderli e fonderli, ecco l'errore comune.
Così Magritte usa il figurativo per dire che una immagine, per quanto fotografica sia, non è più vicina all'oggetto di quanto lo sia una immagine fatta male o addirittura, distorta, accennata, negata come accade in certe rappresentazioni dell'astrattismo.
L'immagine, le pennellate, le frasi, le parole hanno la stessa valenza, sono strumenti di un linguaggio per comunicare idee, idee platoniche, di oggetti e entità che non esistono se non nell'iperuranio.
Ecco perchè se Magritte avesse preso una pipa vera e l'avesse incollata al quadro avrebbe ancora potuto scrivere "Ceci n'est pas une pipe".
intellettuale tra i più raffinati del '900 che ha saputo usare l'arma dell'ironia colta e intelligente per produrre opere paradigmatiche.. fa piacere che nella bibliografia "aggiunta" da alessandra venga citato il bel testo di filiberto menna..
roberto
Se l’essere è e il non essere non è, allora ciò che muore è l’apparenza.
Tutto ciò che è, potrebbe non esserlo più, allora muore anche quell'apparenza di essere...."Ceci n'est pas une pipe"...quindi questa non è più una pipa.