Nella sua camera di Arles, in Provenza, Vincent Van Gogh ammira la vivacità dei colori primaverili (“l’indimenticabile blu chiaro del cielo”, come descriverà in una delle tante lettere al fratello Theo), assapora la loro dolce violenza. Con lui c’è l’amico Paul Gauguin, con cui divide le stanze prese in affitto nella famosa Casa gialla, ritratta in uno dei dipinti più noti dell’olandese.
È il 1888, e Vincent, giunto nel sud della Francia per trovare pace in se stesso e nuovi motivi d’ispirazione, vive ad Arles un breve anno di felicità, fatta di quotidianità più tranquille e spunti creativi insperati, anche grazie a figure di amici e vicini, come il postino Joseph Roulin, soggetto di uno dei ritratti migliori firmati da Van Gogh.
Non è un caso, dunque, che anche la tavolozza, in questo periodo, presenti toni più vivaci e accattivanti, frutto di una sperimentazione nuova per l’artista, e che risaltano ancora di più se paragonati alle atmosfere cupe dei dipinti realizzati nella prima metà degli anni Ottanta.
Ad Arles la camera di Vincent diventa sulla tela un’esplosione di colore, così come le lampade sopra i tavoli da biliardo nei bar della città si accendono, di notte, come soli nel mezzodì di agosto.
Dipinta nel novembre del 1888 e ritoccata poi nei primi mesi dell’anno seguente, La sedia di Vincent fa parte di un ideale “dittico” che vede l’opera fare il paio con La sedia di Gaugain (ora al Museo Vincent Van Gogh di Amsterdam):
La sedia impagliata di Vincent è resa con un intenso giallo, caldo e accogliente. Tuttavia è già presente il presagio della crisi che di lì a poco devasterà la mente già provata del pittore: la sedia è pronta ad accogliere, ma a sedersi non viene nessuno. La sedia è vuota di chi se n’è già andato. Anzi, l’ultimo ad essersi seduto ha persino dimenticato un suo oggetto personale, una pipa: a ricordarne il passaggio, a ribadirne in silenzio l’assenza.
Qualcuno se n’è andato: forse è il fratello Theo, che gli è sempre stato vicino e che ora è lontano, quando il bisogno di lui si fa più pressante. Forse è una delle sue donne, che via via lo hanno abbandonato alle sue passioni divoranti. La particolare prospettiva scelto dall’artista, il punto di vista decisamente rialzato, rendono in modo ancora più efficace la concavità della sedia, già caratterizzata da una spiccata rientranza nel fondello impagliato.
Forse è Vincent stesso che se n’è andato, che velocemente se ne sta andando via da se stesso, e sulla sedia vuota è come se si accomodasse l’ultimo barlume di coscienza dell’artista, tra breve costretto ormai ad ammettere la sua disfatta (morirà suicida appena due anni dopo, nel 1990) e ad accettare con rassegnazione la soluzione del prossimo ricovero in ospedale a Saint-Rémy.
Qui Van Gogh dipinge ancora, prima dell’internamento definitivo ad Auvers-sur-Oise, dove realizza la sua ultima
Nell’intera opera di Van Gogh ogni oggetto rappresentato si carica di significati profondi; così, ad esempio, la sedia diventa emblema di mancanza e solitudine. Questo aspetto da un lato certo avvicina Van Gogh alla fede simbolista, ma d’altra parte nulla è più lontano dall’eccesso decorativo e dal gusto della preziosità di Moreau o Puvis de Chevannes del colore grezzo e pastoso che distingue l’opera dell’olandese, con i suoi toni forti gridati in ambienti quotidiani ed essenziali.
Van Gogh si situa così tra la corrente post-impressionista del Simbolismo sintetico, promosso dall’amico Paul Gaugain, e la nuova tendenza artistica dell’Espressionismo, caratterizzato dall’ ossessione per i temi della solitudine e dell’angoscia del vivere umano.
bibliografia essenziale
Van Gogh, Vincent, Lettere a Theo, a cura di Massimo Cescon, Guanda, Milano, 1984.
Van Gogh, Vincent, Lettere a Theo sulla pittura,, TEA, 1° ed., Milano 1994 (5° ed., 1998).
Walther, Ingo F., Vincent Van Gogh, Taschen, Koln, 2001
Blühm, Andreas, Van Gogh tra antico e moderno, “Art Dossier n.187”, Giunti, Firenze, 2003.
Bonicatti, Maurizio, Il caso Vincent Willem van Gogh,, Boringhieri, Torino, 1977.
Vincent Van Gogh
La sedia
1888
Olio su tela, cm 91,8 x 73
London, National Gallery
cristina babino
[exibart]
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