Un passaporto per Roma. Il virtuosistico autoritratto dipinto dal Parmigianino a Parma, nel 1524, doveva funzionare da promo pubblicitario alla corte del papa Clemente VII. Fu proprio nel ’24, infatti, che Francesco si recò nella città eterna accompagnato dallo zio Ilario, in cerca di fortuna e commissioni.
Aveva con sé un’opera che parlava. Non solo per il topos dell’ut pictura poesis, ma anche per la raffinatezza linguistica con cui era orchestrato.
Vasari rimase estasiato dall’Autoritratto allo specchio convesso, tanto da spendere sul Mazzola parole degne di Raffaello. Anzi, proprio le stesse. “Graziosissima grazia“, “vaghezza de’ colori“, “leggiadria di fare svelte e graziose tutte le figure“. Sono i termini che Giorgio Vasari attribuisce ai “cinque aggiunti”, nel proemio alla Terza Età, quella del massimo livello dell’arte. Parmigianino si pone come un nuovo Raffaello, altrettanto “grazioso” ma più “licenzioso”. Così voleva presentarsi e così venne percepito dai contemporanei. Non a caso, l’autoritratto del 1524 svela fattezze efebiche e una pettinatura a caschetto decisamente raffaellesche. Gli esperimenti tecnici tentati dal Mazzola con lo specchio convesso, su cui la critica ha insistito in passato (“lo stile
La selettività con cui l’artista sceglie cosa deformare è indicativa: la mano sinistra si affusola elegantemente, allungandosi ai bordi del tondo; il volto invece è perfettamente proporzionato e risponde alle esigenze della “regola”.
La misura classica di Raffaello è mimata e allo stesso tempo stravolta. Il volto “di angelo” tanto lodato da Vasari rimane intatto ed il virtuosismo trova spazio a latere. Il dipinto si inserisce a pennello nella tradizione del compianto Sanzio, cercando però angoli di messa in discussione. La raffinatezza formale con cui Parmigianino si dondola precariamente tra “regola” e “licenza” è da manuale del Manierismo e ritorna con i colli allungati delle sue Madonne.
Francesco Mazzola fu apprezzatissimo nella Roma clementina, dove si era creato un clima aritistico che giocava sugli stessi cavalli di battaglia.
L’Autoritratto allo specchio convesso passò dalle mani più illustri. Dal papa in persona allo spregiudicato Pietro Aretino; da lui a Valerio ed Elio Belli, fino a raggiungere la collezione di Alessandro Vittoria, allievo del Sansovino (1560). Fu proprio lo scultore veneziano a lasciarlo in eredità all’imperatore Rodolfo II e a destinarlo inconsapevolmente alla custodia del Kunsthistorisches Museum di Vienna, dove confluì nel 1938.
Nel 2002, Sylvia Ferino Pagden, curatrice della sezione di pittura italiana e del Rinascimento del museo austriaco, ne ha riportato l’eco in patria, parlando dell’autoritratto al celebre e celebrato convegno internazionale di Parma su “Parmigianino ed il Manierismo europeo”.
La figura di Mazzola non perde la sua attualità. Continua ad affascinarci, con le sue instancabili esplorazioni ed i suoi esperimenti.
Ci guarda fisso negli occhi dall’ambiente distorto del suo studio e ci invita ad entrare nel suo spazio.
bibliografia essenziale
AA.VV, Parmigianino e il Manierismo europeo, atti del convegno, Parma, 2002
L. DOLCE, Dialogo della pittura intitolato L’Aretino, (1557), in Dolce’s “Aretino” and Venitian Art Theory of the Cinquecento, a cura di M. ROSKILL, NY, 1968
M. FAGIOLO DELL’ARCO, Il Parmigianino, un saggio sull’ermetismo del Cinquecento, Roma, 1970
A. PINELLI, La bella Maniera, Torino, 1993
M. VACCARO, Parmigianino. Dipinti, Torino, 2002
G. VASARI, Le vite de’ piú eccellenti pittori scultori e architettori, (1968), a cura di G.MILANESI, Firenze, 1865-79
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silvia bottinelli
Opera è un progetto editoriale a cura di daniela bruni
[exibart]
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