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assoloshow Helen Marten / Michelle Blade
parola d'artista
Un nuovo osservatorio sugli artisti stranieri, ospitato su ogni numero di Exibart.onpaper. Per dar spazio ai migliori emergenti selezionati nel panorama delle gallerie di ricerca italiane e internazionali. Il tutto in versione bilingue italiano-inglese. Dalla viva voce dei protagonisti, in occasione delle loro prime mostre personali. Uno spunto per i tanti collezionisti e curatori che seguono le nostre colonne...
Londra)
My work moves
between interests with a stuck-together-with-spit kind of aesthetic, and the
seamless, slick and sleazy gloss of industrial manufacture. There is an
interest in touch, process and pace. I’m consistently torn between a compulsion
for tartly excess, and an iconic, formal or simplistic mode of ‘gesture’, with
individual pieces evolving through a territory where modernism is the rational
agenda, and kitsch an aesthetic deviant. The resulting, or total image could be
read as something that nestles between a clumsy boys-in-the-bedroom exuberance
and a corporate modernism. Smooth surfaces alternate with ruinous arrangements,
and architectural nods sit alongside trashiness, fragility, obsessiveness and a
kind of graphic erotica.
I like the idea of
never being bound up too furiously by one particular language or image, and my work
spins out into numerous loops and feedbacks: I like how a fussy device or
stick-on adornment, can be stripped of its gratuitous placement through a
formalising lick of paint, or a linguistic blanket.
Il mio lavoro oscilla
tra un effetto estetico casuale e una liscia e anonima manifattura industriale,
senza soluzione di continuità. C’è in esso un interesse per il contatto, il
processo e il ritmo. Sono costantemente divisa tra un eccesso di provocazione e un
iconico, formale o semplicistico “gesto”; con i singoli pezzi che si evolvono
attraverso un territorio dove il modernismo è il razionale ordine del giorno e
il kitsch è un’estetica deviante. Il risultato finale potrebbe esser letto come
qualcosa che si annida fra una maldestra e adolescenziale esuberanza e un
modernismo aziendale. Superfici lisce si alternano a confuse combinazioni, e
cenni architettonici sono posti accanto a cose di nessun valore,
alla fragilità,
all’ossessività e a una sorta di grafica erotica.
Mi piace l’idea
di non essere legata troppo accanitamente a un particolare linguaggio o
immagine, e che il mio lavoro si prolunghi in loop continui e in ininterrotte
retroazioni: mi piace che un meticoloso congegno oppure un ornamento incollato possano
esser spogliati della loro gratuita collocazione e diventare “altro” attraverso una sovraccoperta linguistica oppure a una formalizzante mano di vernice.
MICHELLE
BLADE (Los Angeles, 1981)
Over the past three years I
have had supplementary practices to my studio-based work in which I assume
various roles. Organizing community based projects, living and working within a
commune, helping form a local collective, and curating a show based on artists
who (like myself) have socially engaged practices, I have been able to reflect
on the social aspect of painting. These events serve as research and fodder and
through these roles I have seen my painting practice expand tremendously; at
times approaching the medium as a sculptor or a writer and other times as a
photographer, social event organizer, or set designer.
One of my most recent series –
“Painting as Vehicle” – feature installations where paintings are hung on the
wall and floor, mirroring each other and acting as platforms for engagement.
Black holes, exploding light and vortexes create a visual arc between what the
viewer is standing on and what they are looking into, mimicking travel and
transcendent experience such as walking into a portal. By asking people to step
onto my paintings with their bare feet, lie down on it, carve their name into
it, or make a wish on it; these works create an opportunity to shift the more
historical roles and functions of painting and create a dialog around the ways
social interaction can formally complete a work. When the paint itself has been
completely removed from the original work the people who have stood in its
place are essentially responsible for the creation of a new work.
Negli
ultimi tre anni ho aggiunto altre esperienze alla mia ricerca di base, assumendo
così ruoli diversi. Sono riuscita a
riflettere sulla dimensione sociale della pittura: organizzando progetti basati
sulla collettività, vivendo e lavorando all’interno di una comunità,
contribuendo a formare un collettivo locale, e curando una mostra basata su
artisti che (come me) sono impegnati nelle pratiche sociali. Questi eventi mi
sono serviti come ricerca e stimolo, poiché è proprio tramite i ruoli diversi
che ho assunto che ho visto la mia maniera di fare pittura arricchirsi
enormemente. A volte mi sono accostata al colore come se fossi uno scultore,
altre volte come se fossi uno scrittore, qualche volta invece come se fossi un
fotografo, un organizzatore di eventi sociali, o anche uno scenografo.
Una
delle mie serie più recenti – Painting as Vehicle – consiste in caratteristiche installazioni con i quadri
posti alla parete e sul pavimento che, rispecchiandosi gli uni
negli altri, agiscono come se fossero piattaforme per l’innesto. I buchi
neri, la luce e i vortici che esplodono creano un arco visivo tra ciò che lo
spettatore è e ciò che sta cercando dentro di sé, quasi come se stesse vivendo
un’esperienza trascendentale oppure una sorta di cammino infinito. Chiedendo
alle persone di camminare a piedi nudi sulle mie opere, oppure di sdraiarsi, di
esprimere un desiderio, o ancora di scolpire il proprio nome su di esse, si è
creata l’opportunità di trasformare i ruoli e le funzioni più tradizionali
della pittura, aprendo un dialogo sulle modalità
d’interazione sociale che possono formalmente completare un lavoro. In questo modo, l’usabilità
dell’opera stessa e quindi l’interazione dello
spettatore, diventa pienamente responsabile di una nuova creazione.
asSOLOshow è una rubrica diretta
da marianna
agliottone
*articolo
pubblicato su Exibart.onpaper n. 63. Te l’eri perso? Abbonati!
dal 5 febbraio al 13
marzo 2010
Helen Marten – Wicked
Patternes
Galleria T293
Via dei Tribunali, 293 – 80121 Napoli
Orario: da martedì a sabato ore 15-19
Ingresso libero
Info: tel. +39 081295882; fax +39 0812142210; info@t293.it; www.t293.it
dal 19 febbraio al 21 marzo 2010
Michelle Blade –
Blow
As Deep As You Want to Blow
Triple Base Gallery
3041 24th Street – 94110 San Francisco
Orario: da giovedì
a domenica ore 12-17
Ingresso libero
Info: tel. +1 4156433943; triplebase@gmail.com;
www.basebasebase.com
[exibart]
complimenti! mi sembra davvero un ottimo progetto.
Il progetto è sicuramente buono. Il problema sono i contenuti. Ma su questo Exibart non può ovviamente nulla.
La presentazione di Helen Marten potrebbe essere applicata a 1000 artisti nel mondo. Forse di più. Vedo chiaramente la definizione di un burocrazia della creatività attraverso un esercito di epigoni.L’estendersi dell’aflabetizazione è dato positivo, ma si rischia di far passare per arte contemporanea quello che è un “artigianato” dell’arte contemporanea. Ed Helen Marten è un ‘ottima e rispettabile artigiana dell’arte contemporanea. Se anche la sua urgenza fosse questa:destabilizzare l’idea di design/artigianato, tale urgenza è spuntata perchè ossessivamente riproposta dal 95% dell’arte che vedo in giro.
Gli artisti che preferisco, quelli che considero “grandi artisti”, sono quelli per cui la loro idea di arte, lo loro Urgenza è così forte che sovrasta qualsiasi oggetto che questi possono produrre. In questi casimi dimentico totalmente dell’ikea evoluta. Rimane vivissimo il processo, l’atteggiamento e l’idea. Le opere sono solo testimoni di qualcosa di grande. In questi casi diventa un piacere liberarsi al feticismo dell’oggetto. Posso anche portarmelo a letto l’oggetto.