Quando sente la mia voce al telefono, alle 10.25 di un lunedì mattina come tanti, sembra quasi stupito dell’interesse che dimostro avere nei confronti dei suoi lavori e della sua arte. Lui, l’artista che ha detto “no” alla Biennale; lui, che ha solleticato la curiosità di stampa e televisioni. L’imbarazzo iniziale si dissolve, immediatamente, al suono delle mie parole: “Non voglio chiederle della Biennale, immagino l’abbiano già fatto in molti. Vorrei parlare, soprattutto, delle sue opere, specie quella che verrà presentata al Macro”. Un sospiro, quasi di sollievo, e via col fiume di parole in piena.
Paolo Grassino, classe 1967, vive e lavora a Torino, città che reputa essere una buona base operativa: “Non mi sembra che ci sia bisogno di andare a lavorare chissà dove per avere stimoli maggiori. […] Non è che se ti trasferisci a New York o chissà dove, diventi più bravo o cosa. […]”. Figlio di un pittore, è cresciuto tra silenzi e lezioni impartitegli dal padre: la più importante, quella di collegare, sempre, il cervello alle mani. Insegnamento, per altro, completamente metabolizzato.
La sua è una continua ricerca, una profonda riflessione sulla condizione attuale dell’uomo, perennemente sospeso, in bilico in un limbo esistenziale, tra precarietà e mutazione, fragilità e delirio di onnipotenza. Le sue spettacolari sculture-installazioni recuperano un forte senso della manualità, ormai obsoleta nella maggioranza delle maniere espressive contemporanee. Lavora la gomma sintetica, il legno, il polistirolo, la cera, il cemento e l’alluminio, ricordando quelle avanguardie ormai dimenticate e sepolte nei meandri della storicizzazione dei movimenti artistici.
Enormi, monumentali, invasivi o mimetizzati tra le architetture degli spazi in cui sono installati, i lavori di Grassino fuggono dal business dell’arte, dal sistema contemporaneo privo di stimoli e fuori dal tempo: “Le mie opere non sono vendibili e, quasi sempre, si nascondono al mercato. Non sono concepite come merci, oggetti di scambio. Ne sono consapevole e, forse, oggigiorno è un difetto, ma non mi interessa che lo diventino. Certo, avendo scelto di fare l’artista, come mestiere, devo scendere a piccoli compromessi per mantenermi… ma vendere non è la mia priorità. Ah, i compromessi di cui parlo? Li reputo delle sfide. Un ennesimo passo verso l’apice della mia ricerca.” Barriere architettoniche, geografiche, culturali; nodi stretti ai polsi di un uomo, sì, moderno ma quasi privo di libertà di scelta. “Non parlo di catene in senso letterale, ma di stereotipi. Di abitudini che ci vengono inculcate da sempre e che, a priori, ci indicano il modo in cui, per i più, è giusto vivere. Fumare fa male; mangiare troppo è dannoso, ma mangiare poco debilita il fisico. Non bere alcolici, o comunque è possibile farlo solo fino alle 2 del mattino. Tutte cose che, in un certo senso, ci impediscono di agire liberamente assumendoci la responsabilità delle nostre azioni. Non rivoluzione: il crollo di un regime porterebbe, inevitabilmente, all’imposizione di un regime altro, diverso da quello precedente. Ma rivolta. Emotiva, intellettuale, vitale, energica e costruttiva.” Una società mutevole e incerta, spiazzata ma corroborata dalle imposizioni quella a cui Paolo Grassino sente di appartenere. Una società liquido-moderna in cui “[…] gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi. […] Una vita precaria […] .”
Paolo Grassino – Controllo del corpo
Paolo Grassino Rivalta (to), Castello
exibinterviste – la giovane arte Paolo Grassino
a cura di alessia tuzio
Madre di Paolo Grassino
dal 24 giugno fino a novembre 2011
in occasione della mostra “La Collezione e i nuovi arrivi”
MACRO – sala bianca
Via Nizza, angolo Via Cagliari – 00198 Roma
[exibart]
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In questa benedetta Madre c è piu' scenografia linguistica che oggettuale e cio' tradisce una sostanziale inoperosita' di fronte a temi che dovrebbero essere esposti con meno spettacolarita'.
E' una madre veramente ingombrante i cui effetti non provocano nessuna tempesta ma si riducono alla sua messa in scena.
lo trovo un manierismo che non va da nessuna parte,il cui esito si riassume nella forma di frammento; nasce dentro un museo e dentro il museo ritrova la sua bara e cosi' che la natura, non ne risulta affatto contaminata.