Categorie: parola d'artista

E quando l’uomo abbassa le difese, la natura invade il suo spazio

di - 22 Giugno 2011

Quando sente la mia voce al telefono, alle 10.25 di un lunedì mattina come tanti, sembra quasi stupito dell’interesse che dimostro avere nei confronti dei suoi lavori e della sua arte. Lui, l’artista che ha detto “no” alla Biennale; lui, che ha solleticato la curiosità di stampa e televisioni. L’imbarazzo iniziale si dissolve, immediatamente, al suono delle mie parole: “Non voglio chiederle della Biennale, immagino l’abbiano già fatto in molti. Vorrei parlare, soprattutto, delle sue opere, specie quella che verrà presentata al Macro”. Un sospiro, quasi di sollievo, e via col fiume di parole in piena.

Paolo Grassino, classe 1967, vive e lavora a Torino, città che reputa essere una buona base operativa: “Non mi sembra che ci sia bisogno di andare a lavorare chissà dove per avere stimoli maggiori. […] Non è che se ti trasferisci a New York o chissà dove, diventi più bravo o cosa. […]”. Figlio di un pittore, è cresciuto tra silenzi e lezioni impartitegli dal padre: la più importante, quella di collegare, sempre, il cervello alle mani. Insegnamento, per altro, completamente metabolizzato.

La sua è una continua ricerca, una profonda riflessione sulla condizione attuale dell’uomo, perennemente sospeso, in bilico in un limbo esistenziale, tra precarietà e mutazione, fragilità e delirio di onnipotenza. Le sue spettacolari sculture-installazioni recuperano un forte senso della manualità, ormai obsoleta nella maggioranza delle maniere espressive contemporanee. Lavora la gomma sintetica, il legno, il polistirolo, la cera, il cemento e l’alluminio, ricordando quelle avanguardie ormai dimenticate e sepolte nei meandri della storicizzazione dei movimenti artistici.


Enormi, monumentali, invasivi o mimetizzati tra le architetture degli spazi in cui sono installati, i lavori di Grassino fuggono dal business dell’arte, dal sistema contemporaneo privo di stimoli e fuori dal tempo: “Le mie opere non sono vendibili e, quasi sempre, si nascondono al mercato. Non sono concepite come merci, oggetti di scambio. Ne sono consapevole e, forse, oggigiorno è un difetto, ma non mi interessa che lo diventino. Certo, avendo scelto di fare l’artista, come mestiere, devo scendere a piccoli compromessi per mantenermi… ma vendere non è la mia priorità. Ah, i compromessi di cui parlo? Li reputo delle sfide. Un ennesimo passo verso l’apice della mia ricerca.” Barriere architettoniche, geografiche, culturali; nodi stretti ai polsi di un uomo, sì, moderno ma quasi privo di libertà di scelta. “Non parlo di catene in senso letterale, ma di stereotipi. Di abitudini che ci vengono inculcate da sempre e che, a priori, ci indicano il modo in cui, per i più, è giusto vivere. Fumare fa male; mangiare troppo è dannoso, ma mangiare poco debilita il fisico. Non bere alcolici, o comunque è possibile farlo solo fino alle 2 del mattino. Tutte cose che, in un certo senso, ci impediscono di agire liberamente assumendoci la responsabilità delle nostre azioni. Non rivoluzione: il crollo di un regime porterebbe, inevitabilmente, all’imposizione di un regime altro, diverso da quello precedente. Ma rivolta. Emotiva, intellettuale, vitale, energica e costruttiva.” Una società mutevole e incerta, spiazzata ma corroborata dalle imposizioni quella a cui Paolo Grassino sente di appartenere. Una società liquido-moderna in cui “[…] gli uomini si modificano prima che i loro modi di agire riescano a consolidarsi. […] Una vita precaria […] .”

E poi, dopo tanta società, la Madre di tutte le madri. La prescelta per l’invasione dello spazio museale di Roma. Madre è natura: una natura che assorbe, protegge, rinvigorisce, fa riflettere; una natura che è anche capace di creare orrore e disastro. Catastrofi ingestibili, imprevedibili, disarmanti. L’installazione di otto metri, groviglio di rami in cera rossa, ha già occupato gli spazi del Musée de Saint Etienne e del Castello di Rivalta. Ora si appresta a tingere di carminio la Sala Bianca del Museo d’Arte Contemporanea di Roma. “Madre è qualcosa di interiore, che viene dalle viscere dell’essere uomo e figlio di un mondo caotico. Enorme arteria di cera rossa che domina, riempie e sommerge lo spazio. Non assume mai la stessa forma: è un lavoro in itinere. Non può essere cristallizzata in una forma precisa, in un luogo stabilito. Non segue alcun tipo di dettame. Si adatta ai luoghi che esplora. Ogni volta cambia, cresce, regredisce; divora o risputa lo spazio.” Appendo il ricevitore del telefono e rigiro, ripetutamente, la matita tra le mani. Sono soddisfatta. Penso alle parole di Grassino e non posso fare a meno di domandarmi se la famigerata Madre Natura, terribile, spietata, temibile e, allo stesso tempo, così generosa con una prole quanto mai irriverente, si riconosca in questo artefatto, specchio delle inquietudini e debolezze di un uomo che altro non è se non una particella, un punto di un infinito panta rei.  

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Madre di Paolo Grassino

dal 24 giugno fino a novembre 2011

in occasione della mostra “La Collezione e i nuovi arrivi”

MACRO – sala bianca

Via Nizza, angolo Via Cagliari – 00198 Roma

www.macro.roma.museum

macro@comune.roma.it

[exibart]

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  • In questa benedetta Madre c è piu' scenografia linguistica che oggettuale e cio' tradisce una sostanziale inoperosita' di fronte a temi che dovrebbero essere esposti con meno spettacolarita'.
    E' una madre veramente ingombrante i cui effetti non provocano nessuna tempesta ma si riducono alla sua messa in scena.
    lo trovo un manierismo che non va da nessuna parte,il cui esito si riassume nella forma di frammento; nasce dentro un museo e dentro il museo ritrova la sua bara e cosi' che la natura, non ne risulta affatto contaminata.

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