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exibinterviste la giovane arte – Adrian Paci
parola d'artista
Volitiva, capace, intelligente. L’arte di Adrian Paci, reduce dall’esperienza Premio Furla, parla di memorie, crea storie, ricorda i valori di un popolo mai troppo lontano attraverso dei veri e propri racconti per immagini di intensa poeticità…
di redazione
Recentemente ti ho seguito a Venezia in occasione del Premio Furla alla Fondazione Querini Stampalia e lì ho potuto notare, fra le tre opere presentate,back home, dove proponi uno sfondo scenografico rappresentante vecchie case abbandonate da famiglie costrette ad emigrare.
In che modo le tue vicende personali hanno condizionato l’ideazione di quest’opera?
Non solo in quest’opera, ma in tanti altri miei lavori, io preferisco partire dalla mia esperienza. Sicuramente questo non è un modo per raccontare la mia vita, cosa abbastanza noiosa e di poco interesse per gli altri, ma di parlare delle cose che comunque hanno un respiro più vasto, usando un filtro personale ed intimo. Forse è anche un modo per dare più spessore di verità alle cose che dico.
In un’intervista di due anni fa, parlavi della necessità dell’esistenza dell’opera d’arte al di là della sua sola comprensione e del fruitore che entra in dialogo con essa decifrando i suoi codici, dandole una sorta di valore aggiunto. E’ cambiata la tua concezione dell’interattività negli ultimi lavori?
Non credo che sia questione di interattività. Io penso che il dialogo che il fruitore ha con l’opera sia importantissimo, ma credo anche che l’opera debba rimanere una realtà autonoma che si arricchisce di tempo in tempo con dei valori aggiunti
che i nuovi contesti possono darle. Per me l’opera rimane una realtà complessa anche nella sua estrema semplicità, e in questa complessità entra a far parte anche il rapporto che, nei contesti diversi, essa riesce a creare con i fruitori.
La semplicità del tuo linguaggio esplode sempre in messaggi profondi e significativi e i temi che tratti prendono spunto da riflessioni personali che accomunano una moltitudine di persone che ancora oggi vivono la stranezza e a volte il disagio di essere ospiti in un altro paese.
Credi che la pittura, con la sua semplicità, sia ancora la forma espressiva che in qualche modo preferisci?
No. Io non ho un linguaggio preferito e per quanto riguarda la semplicità, anche un lavoro video o una foto possono essere semplici.
Il quotidiano, con le sue vicende e a volte con le sue durezze, ti ha insegnato a guardare tutto come un messaggio da poter trasmettere agli altri. In questo modo l’arte diventa “…qualcosa che vivi sulla tua pelle..”
Come vivi la partecipazione alle tue opere? Puoi raccontarmi le fasi creative che hanno caratterizzato la realizzazione di Home to go ad esempio?
Raccontare le fasi creative di un lavoro è la cosa più noiosa che possa fare, anche perché per essere sincero non me le ricordo. Home to go è un lavoro che cerca di indagare il rapporto che ognuno di noi ha con la casa come luogo di memoria, peso di responsabilità, tentazione di ritornare ma nello stesso tempo voglia di andare via. A proposito della pelle, per realizzare questo lavoro ho dovuto tenere addosso tanto di quel gesso per la realizzazione del calco che malgrado la crema che mi ero messo, ho dovuto subire una dolorosa depilazione.
La toscana e precisamente Lucca, ti ha visto protagonista in maggio, con due nuovi lavori. Questa volta attraverso un video, un chiostro (allestito nella chiesa di S.Matteo a Lucca) e una grande fotografia, hai sconvolto il pubblico sfidando la tradizione con Piktori, proponendo la storia di un vecchio pittore albanese. Un’opera che attraverso una serie di contraddizioni e provocazioni, viaggiando tra la finzione e la realtà, racconta anche la tua storia.
Quanto credi sia importante il luogo espositivo, la scelta del contesto ambientale, per la riuscita delle tue opere-installazioni?
E’ ovvio che uno spazio bello ti intriga a fare qualcosa di bello. Lo spazio di Poleschi a Lucca è bellissimo ed è grande abbastanza per reggere un progetto complesso ed articolato. Devo dire che sono contento di come sia venuta la mostra, ma non sempre uno spazio bello ti garantisce una bella mostra, tante volte rischia di mettere in difficoltà il lavoro. E’ il dialogo tra lo spazio e le opere la chiave della riuscita di una mostra.
Bio
Adrian Paci è nato a Shkoder, Albania, nel 1969. Attualmente vive e lavora a Milano. Ha all’attivo numerose mostre personali e collettive in Italia e all’estero, tra le quali ricordiamo la prima personale alla Galleria Nazionale di Tirana nel 1996 e la partecipazione ad eventi artistici di prestigio internazionale quali la Biennale di Venezia nel 1999 e la Biennale di Valencia nel 2001. E’ stato tra i finalisti del Premio Furla di quest’anno e il vincitore dell’edizione di Miart 2002.
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Exibinterviste-la giovane arte è un progetto editoriale a cura di Paola Capata
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