Categorie: parola d'artista

exibinterviste –la giovane arte | Alek O.

di - 4 Marzo 2005

Come sei diventata un artista? Cosa è stato davvero determinante? In questo momento della tua vita stai facendo quello che hai effettivamente scelto o fai questo lavoro per cause fortuite?
Non so come sono diventata un’artista, immagino dunque che non ci sia stato niente di molto determinante. Adesso faccio quello che ho scelto: studio disegno industriale. Scelto… scelto semi-male. Voglio dire che non sono tanto convinta. E da poco faccio anche la segretaria. Credo sia il lavoro più ridicolo al mondo. Comunque mi sta bene.

Solitamente spetta ai critici sintetizzare e descrivere la ricerca di un artista. Se dovessi invece sinteticamente, in tre righe, definire la tua arte come faresti?
riga 1 la mia arte è da pattumiera.
riga 2 la mia arte è piccola e ordinata.
riga 3 la mia arte probabilmente non è nemmeno mia.

…E infatti utilizzi immagini prese da riviste o da scarti dei laboratori fotografici, poi le unisci insieme con un collage manuale, il risultato è un’estetica low-fi, ma non è solo un esercizio formale…
E’ anche un esercizio di economia: il materiale di scarto è quello più economico per eccellenza. E poi, c’è una massa così grande di immagini in giro da buttare via, che sarebbe un peccato non usarle ogni tanto.

Un tuo pregio e un tuo difetto nell’ambito dell’arte, quindi in campo lavorativo.
Il mio grande pregio è la mia tuta d’artista: ho delle scarpe nere, dei pantaloni neri, delle magliette nere e anche una sciarpa nera. Un difetto: non ho più dei guanti neri.


E nella vita?

Ragazza seria e volenterosa, bella presenza, capelli chiari, altezza 179 cm, peso 52 kg, simpatica, iper-colta, disinvolta, molto comunicativa. Adoro il teatro, la poesia, l’arte, la musica, la filosofia, i viaggi esotici e gli animali domestici. Umm… non mi viene in mente nessun difetto.

Una persona davvero importante attualmente per il tuo lavoro?
Meglio, una bella parola: mamma.

Mamma è anche un tuo recente progetto…
Con uno straccio e anche delle mascherine pulisco i furgoni sporchi che trovo in giro nella città. Quello che lascio è la scritta MAMMA. Dopodiché mi segno il numero di targa e il modello. E’ successo che qualcuno abbia cancellato quello che avevo fatto. Dunque da allora ho pensato di lasciare dei post-it con un messaggio indirizzato ai proprietari dei veicoli. Così provo a convincerli di conservare il mio lavoro.

Parlaci del tuo studio…
Allora, lavoro in camera mia dove il soffitto è molto molto basso e a forma di calotta. Quindi, per starci in piedi bisogna stare in “semi-piedi”, cioè col collo in diagonale oppure battere la testa ogni tanto. Per guadagnare altezza è sempre utile togliersi le scarpe. Credo il mio rapporto sia di totale sottomissione.

Quanto influisce la città in cui vivi con la tua produzione? E’ indifferente? Preferisci girare di città in città o lavorare sempre nel solito posto?
La città influisce tanto tanto su quello che faccio: a Milano lavoro con la testa in giù, mentre a Buenos Aires ho un soffitto a doppia altezza.


Nell’ultimo periodo stai però anche lavorando fuori dal tuo studio, nel laboratorio dedicato ai giovani artisti al Centro per l’Arte La Stecca degli Artigiani. Mi racconti questa esperienza?

Ecco, da qualche mese che è nato questo laboratorio. Si trova alla Stecca dunque dentro all’Isola. L’intenzione è di lavorare senza dimenticare che si è dentro ad un quartiere che rischia di subire un cambio urbanistico poco bello. Allora lo sforzo è di collegarsi anche ad un ambiente esterno a quello tradizionalmente artistico, cioè al vicinato e alla città.

Qual è la mostra più bella che hai fatto e perché?
Al nido ho fatto una mostra con i miei compagni di classe in cui ognuno incollava sulle pareti il suo lavoro. Anch’io l’ho appeso. Ma quando sono arrivati i miei genitori non sapevo più quale fosse il mio. Così ho scelto quello più bello e glielo ho fatto vedere. Siamo stati tutti enormemente felici.

intervista a cura di alessandra poggianti

[exibart]



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