Categorie: parola d'artista

exibinterviste – la giovane arte | Alessia Chiappino

di - 7 Gennaio 2005

Come sei diventata un’artista? Cosa è stato davvero determinante? In questo momento della tua vita stai facendo quello che hai effettivamente scelto o fai questo lavoro per cause fortuite?
Credo di fare l’artista dal momento in cui mi è stato proposto di fare una mostra, anche se ho sempre fatto quello che ora espongo. A scuola riempivo pagine e pagine di scritte fittissime, e a casa a Valenza ho delle scatole piene di fogli strappati dai quaderni e dai diari collezionati tra il 91 e il 99.
Ho studiato fotografia a Milano, una persona a cui devo molto è il mio ex docente Silvio Wolf: credo sia stato lui a farmi capire che cosa fare “da grande”. Nel 2001 ho passato alcuni mesi a Londra e quel periodo è stato fondamentale per la mia crescita: andavo in giro la notte con un’amica di Barcellona a fare foto e di giorno scrivevo e visitavo gallerie e musei. E’ stato il momento in cui mi sono avvicinata all’arte.

Il coté performativo della tua ricerca guarda a certa performing art anni Settanta, mentre la parte oggettuale (i quadri) sembrano molto attenti al Concettualismo…
Cerco di trovare un territorio comune tra l’astrazione delle pratiche concettuali e la personalizzazione dell’esperienza della performing art: in tutti i lavori che realizzo c’è una esperienza che passa attraverso il mio corpo e attraverso l’ossessività e la ripetizione dei gesti. Per quanto riguarda la parte oggettuale mi limito a trascrivere su grandi fogli di carta i miei diari, lo faccio per ricordarmi di certi momenti della mia vita e allo stesso tempo per liberarmene e lasciare spazio a nuovi pensieri.
La narrazione passa in secondo piano e sono molto più affascinata dal vedere come tante parole si sommino le une alle altre creando una sorta di illeggibile tappeto. Anche se c’è un legame con il Concettualismo “storico” direi che i miei lavori sono legati a pratiche più recenti: la necessità di mettere al centro la propria vita quotidiana di Sophie Calle, oppure alcuni lavori degli anni ‘70 e ‘80 di Dadamaino. Scrivo molto e per ora è la parte del mio lavoro di cui sono più soddisfatta.
L’ultimo lavoro che ho fatto è stato riprendermi mentre stavo nuda sul pavimento del garage ad una temperatura di cinque gradi, mi interessava capire come reagisce il nostro corpo, quando si trova in situazioni ostili, ed è stato interessante notare che dopo un quarto d’ora ero così concentrata su di me che non avvertivo più freddo… Dopo un momento passato a riscaldarmi passandomi le mani sul corpo sono rimasta praticamente immobile per circa due ore, mi è sembrato rappresentativo della capacità della mente di abituarsi a cambiamenti drastici nella nostra vita. Ho poi in mente un lavoro basato sulla capacità di comunicare attraverso il nostro sguardo, vorrei che lo spettatore si mettesse in gioco quanto me in una sorta di “gioco del silenzio”.


Quali artisti sono le tue stelle polari?

Amo il lavoro di Martin Creed, mi piace l’equilibrio trovato da Kim Sooja, la sobrietà e l’ossessività di Sabrina Mezzaqui e la malinconia che mi trasmettono i lavori Federico Pietrella, l’intelligenza di Maurizio Cattelan e di Alighiero Boetti. Naturalmente sono molto affascinata dall’energia che scaturisce dalle opere di Marina Abramovic.

Un tuo pregio ed un tuo difetto nell’ambito dell’arte, quindi in campo lavorativo.
Passo troppo tempo a pensare e troppo poco a fare, mi vengono tante idee ma poi, di fatto, ne realizzo poche. Credo sia un difetto….di base è insicurezza.

E nella vita?
Mi piace cercare di capire le persone, di entrare dentro alle cose. Nella vita, come anche nel mio lavoro, sono esageratamente ossessiva… nel lavoro può essere un pregio, nella vita è un difetto… anzi, forse è più un problema che un difetto….

Che rapporto hai col luogo in cui lavori. Parlaci del tuo studio…
Mi piace scrivere la notte, a casa, tra i miei oggetti, non devono mai mancare musica, vino e sigarette!!! Via Settembrini di giorno è troppo rumorosa tra lo sferragliare del tram e i clacson delle auto. Ho bisogno di silenzio e mi piace lavorare da sola, mi piace affacciarmi alla finestra la notte e vedere che, come la mia, ci sono sempre le solite luci accese nei soliti appartamenti. In questo momento lavorare a casa è un po’ complicato, sto scrivendo un foglio di quattro metri che praticamente è diventato il tappeto della mia stanza… Scrivo coricata a terra ci cammino sopra e mi piace, mi piace lasciare i segni del mio passaggio sulle carte su cui scrivo per mesi.


Quale è la mostra più bella che hai fatto e perché?

Surely we will be confused la scorsa estate alla Fondazione Ratti: non sono particolarmente soddisfatta del lavoro fatto affrettatamente per la fine del workshop, ma è stata un’esperienza molto interessante… e ho apprezzato e imparato molto dai silenzi di Jimmie Durham.

Quanto influisce la città in cui vivi con la tua produzione?
Credo che l’humus in cui si cresce e le frequentazioni siano fondamentali per la propria formazione. Vivo a Milano da sei anni e per ora sto bene qui, mi concedo abbastanza spesso brevi viaggi, ma non escludo la possibilità di cambiare luogo, quando non sarò più capace di recepire nulla da questa città. Mi piacerebbe provare a vivere a Parigi o comunque in una grande città europea. “Da grande” invece vorrei abitare in cima ad un colle toscano…

Ormai consacrati Cattelan e Beecroft, tra i giovani artisti italiani chi secondo te ha delle chance per emergere sulla scena internazionale? Chi invece è sopravvalutato?
Non saprei, posso rispondere solo per quello che è il mio gusto e mi piace il lavoro di Massimo Bartolini e quello di Luca Pancrazzi, tra i più giovani Micol Assael e Marina Fulgeri.

bio Alessia Chiappino è nata a Valenza (Al) nel 1980. Vive a Milano
Mostre collettive: 2003 Ritorno ad Itaca a cura di Andrea Dall’Asta, Galleria San Fedele Milano; Il risveglio del fauno a cura di Rossella Bertolazzi, IED moda lab, Milano 2004 Ritmi a cura di Stefano Pirovano, Galleria San Fedele, Milano Interlinea a cura di Angela Madesani, Cascina Roma San Sonato Milanese; Surely we will be confused a cura di Roberto Pinto e Giacinto di Pietrantonio – Corso superiore arti visive fondazione Antonio Ratti, Como Questi fantasmi a cura di M. Kaufmann, Galleria 1000eventi, Milano 2005 Tracce di un seminario curated by Roberto Pinto e Giacinto di Pietrantonio, Viafarini/care of, Milano.

intervista a cura di massimiliano tonelli

[exibart]


Visualizza commenti

  • ... Per quanto riguarda la parte oggettuale mi limito a trascrivere su grandi fogli di carta i miei diari, lo faccio per ricordarmi di certi momenti della mia vita e allo stesso tempo per liberarmene e lasciare spazio a nuovi pensieri.
    La narrazione passa in secondo piano e sono molto più affascinata dal vedere come tante parole si sommino le une alle altre creando una sorta di illeggibile tappeto. Anche se c’è un legame con il Concettualismo “storico” direi che i miei lavori sono legati a pratiche più recenti: Unità minima di senso di Bianco-Valente

  • ste ragazzette che si credono di aver scoperto chissà cosa. . e poi assel e fulgeri nooooo, per favore. sono una peggio dell'altra. ci credo che poi le cose vanno male, se i gusti sono questi!

  • ho visto una mostra in una galleria a milano a ottobre e c'era un lavoro molto bello, da lontano sembrava una tessitura.

  • Tutto sembra interessante... si sa che la luce neutra passando in un prisma si divide... ma se invece della luce ci passa un immagine cosa succede?....

    I gentiluomini e i cavalieri non scrivono mai per insultare, loro non hanno bisogno di insultare... i grezzi e gli squallidi devono sfreggiare.. di solito amano farlo sulle donne, che rappresentano la parte da distruggere... la sensibiltà, la diversità, l'irrazionale...
    Già, mi domando perchè, chi non ha niente da fare lo viene a fare sempre dove non è richiesto.
    Chissà chi rimarrà seduto statico immobile e chi sapra sentire sulla pelle le cose...

    Mi domando... so già la risposta...
    Ne voglio un'altra.

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