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exibinterviste – la giovane arte Alice Guareschi
parola d'artista
Segnaletica di ciò che rimane intraducibile. Ossimori visivi del concetto di trasmissione. Studi di filosofia, due significativi soggiorni parigini e il “partire da sé” come disciplina di vita. Quando si dice che l’artista è rigoroso…
L’arte visiva come scelta precisa? O c’entrano le circostanze fortuite?
Nel mio caso c’entrano entrambe le cose. Fondamentale è stato poter coltivare a lungo i miei interessi e le mie curiosità liberamente, senza pressioni o secondo presunte strategie, fino a sentire a un certo punto che guardare il lavoro degli altri non mi bastava più. Poi ho avuto la fortuna di incontrare persone che hanno creduto nel mio lavoro sin dal primissimo inizio, cosa che mi ha dato una maggior sicurezza, e aperto la possibilità di un riscontro pubblico per quello che stavo facendo.
Su cosa verte la tua ricerca?
Mi interessano i dettagli, le parole, le varie forme di narrazione dell’esperienza, le strutture del linguaggio, le storie dimenticate, la possibilità di sguardi personali sulla storia e sulla tradizione collettiva, le forme semplici, le forme complesse, il racconto della realtà, le unità di misura correnti applicate alle geografie personali, e tutto quello che rimane intraducibile durante qualsiasi traduzione di segnale.
Che rapporto hai con chi interpreta il tuo lavoro?
Un rapporto aperto, credo. Sono curiosa del giudizio degli altri, e parlare del mio lavoro mi è utile perché mi chiarisce le idee. Quando però la persona che ho di fronte non dice niente né del mio lavoro né di nient’altro e mi sembra di dover fare dei monologhi, mi annoio.
La tua formazione?
Liceo classico, e studi di filosofia. Durante l’università, due lunghi periodi a Parigi: per uno stage a Light Cone, distribuzione di cinema sperimentale e d’artista, la prima volta, e poi in residenza al Pavillon del Palais de Tokyo nel 2005.
Quali gli artisti cui hai guardato con più attenzione?
Vado a memoria. I più recenti: Tacita Dean e Jonathan Monk. Poi, in ordine sparso, Nicolas De Staël, David Hockney, Jonas Mekas, Jem Cohen, Tracey Emin, Robert Smithson, Alighiero Boetti, Luigi Ghirri, Wim Wenders, Derek Jarman, Jean Cocteau, Cat Power.
Cat Power non è male. Pregi e difetti del tuo carattere?
La serietà e il desiderio di controllo. Che sono pregi e insieme difetti. Poi, il pensare che in una sola cosa debba entrarci per forza sempre tutto.
Questo mi pare un pregio. Poi?
Non so. L’inquietudine?
Presti attenzione all’attualità politica?
Per me la politica ha a che fare con un modo di stare nel mondo e nelle cose, è innanzitutto una questione individuale, inscindibile dall’etica e dal comportamento. Più in generale penso che il “partire da sé”, prezioso insegnamento della politica delle donne, dovrebbe essere il presupposto primo per ogni discorso che voglia farsi di tutti, e che la politica dovrebbe essere intesa soprattutto come relazione, compartecipazione, giustizia sociale, rispetto e valorizzazione delle differenze. Nel mio quotidiano di persona mediamente privilegiata, il cercare di guardare in prospettiva, l’avere dei dubbi, l’ascoltare senza smettere di farsi delle domande, e anche il fare cose spesso considerate inutili perché non interne a una logica di immediato profitto, sono piccole forme di resistenza alla violenza e alle volgarità imperanti.
Chi è davvero importante attualmente per il tuo lavoro?
Ogni persona con cui riesco a fare un bel discorso, o a scambiare qualcosa.
Come va con galleristi, collezionisti e mercanti in genere?
Con intensità diverse, a seconda dei momenti. Ma la stima reciproca rimane comunque per me la base di ogni rapporto di lavoro importante.
Lavori in uno studio vero e proprio?
Sì, da un paio di mesi. Assomiglia cromaticamente alla mia casa, ma è uno spazio più secco, senza telefono e molto vuoto. Vorrei diventasse il luogo per gli oggetti e per gli esperimenti, mentre la mia stanza per il momento rimane ancora l’ambiente privilegiato per la scrittura e le attività da tavolo.
Sei una giramondo?
Dipende dai periodi. Alterno il desiderio di movimento e di imprevisto a bisogni più stanziali, tipo ritmo del quotidiano e degli affetti e una certa organizzazione degli spazi. Il massimo sarebbe riuscire a viaggiare molto per lavoro, mantenendo però sempre una base in cui tornare.
Una tua mostra da ricordare, sin qui?
La mia personale alla galleria Alessandro De March di Milano, l’inverno scorso. Volevo ci fosse uno scarto, qualcosa di nuovo prima di tutto per me nel mio lavoro, e mi sembra di esserci riuscita. L’ho sentita come un inizio.
exibinterviste – la giovane arte è una rubrica a cura di pericle guaglianone
bio: Alice Guareschi è nata a Parma nel ’75, vive a Milano. Personali: Passangers to be seated during the voyage, Sonia Rosso, Torino (2007); Local time at destination, Centre Culturel Français, Milano (2006); Objects producing interesting shadows, Galleria Alessandro De March, Milano (2005); Private anthology, Monitor, Roma; Project Room, Museo dell’Arredo Contemporaneo, Ravenna. Tra le collettive: Marrakech Derb, Istituto Italiano di Cultura, Rabat; Parti di realtà / Realtà di parte,Neon>fdw, Milano (2006); Air Cambodia, French Cultural Center of Phnom penh, Cambodia e Palais de Tokyo, Paris; The final cut, Palais de Tokyo, Paris; No place like home, Galleria Mazzocchi, Parma; Aperto per lavori in corso, PAC Padiglione Arte Contemporanea, Milano (2005); Mostra di fine corso, Viafarini, Milano; 7k nights, Studio Stefania Miscetti, Roma; Assab One 2004, Ex tipografia GEA, Milano (2004); Quasi bianco, Galleria Pianissimo, Milano (2003); Exit. Nuove geografie dell’arte in Italia, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino (2002).
[exibart]
Cara Guareschi Alice, cosa pensi di fare nel tuo prossimo futuro? Non pensi di utilizzare meglio il tuo tempo?
Perchè non te ne vai a lavorare? Dico il sudore, lo sforzo, la rendita…