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exibinterviste la giovane arte – Andrea Sala
parola d'artista
Il suo intervento altera e ridefinisce opere di designer ed architetti. Creando nuovi oggetti d’uso. Interagiscono con lo spazio, slittano la percezione. Sotto la regia di un approccio che parte dal disegno industriale e arriva all’arte visiva. Per parlare di Dan Graham, Le Corbusier e di piedini che sollevano mensole e comodini…
Da dove vieni?
La mia formazione parte dall’ambiente familiare, dalle zone in cui sono cresciuto, come la Brianza, con la sua tradizione di designer alla quale per storia ed interesse sono stato da sempre a contatto. Nel 1994 con l’accademia di belle arti e la collaborazione con studi di architettura e piccole aziende per cui disegnavo prodotti, si é rafforzata e delineata la sinergia fra arte e design, base e filo conduttore del mio lavoro tutt’oggi.
Come ti avvicini al design?
Con uno sguardo di rispetto e di interesse. Intorno alla loro concezione ergonomica e funzionale ritrovo, dal mio punto di vista, una sorta di cànone attraverso il quale prendere coscienza di un determinato territorio o forma. Entrandovi così in relazione attraverso il compiersi dell’opera stessa.
In una recente mostra hai citato anche un mostro sacro come Ettore Sottsass…
Ettore Sottsass progettò per l’Olivetti una macchina per scrivere. Nel mio lavoro per Prototipi02 alla Fondazione Olivetti di Roma, un elemento di quest’oggetto, ricostruito in marmo bianco, viene ripetuto e utilizzato come piedino per sollevare virtualmente comodini e mensole nello spazio della mia camera, del Bed&Breakfast in cui eravamo ospiti durante il workshop.
Si tratta di un lavoro pensato specificatamente per quel luogo, dei Coni bianchi che giocano con lo spazio, che nella sua interezza diviene opera.
Quanto sono condizionate dallo spazio le tue cose?
Lo spazio nei miei lavori interviene in modi diversi: accogliendo l’oggetto come sfondo o intervenendo come protagonista in un rapporto dialettico con l’opera stessa. In questo caso l’oggetto e lo spazio si influenzano a vicenda: lo spazio divenendo opera e acquisendo una densità diversa in una relazione non sostituibile con l’oggetto artistico il quale, a sua volta, acquista una diversa funzionalità, pur mantenendo la sua forma originaria che appartiene ad altri scopi e luoghi.
E dopo Sottsass ecco il padre di tutti gli architetti. I tuoi lavori hanno avuto a che fare anche con Le Corbusier…
Per Exit, la mostra di Francesco Bonami alla Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino, ho presentato il modello di Villa Savoye, un’architettura progettata da Le Corbusier. E’ stato realizzato in legno di betulla, in una scala tale da far sì che l’edificio assumesse forma e valenza di una cabina armadio. In un gioco fra interno ed esterno, dimensioni, funzioni e sguardo legato al quotidiano, un elemento architettonico atto a divenire abitazione diviene un elemento parziale di vita come un armadio. Una struttura così complessa come Villa Savoye cambia così la sua funzionalità rimanendo –paradossalmente- perfettamente funzionale ed equilibrata.
E adesso? Cosa stai facendo?
Preparo un progetto per una mostra che si terrà a Locarno durante il Festival del Cinema presso il centro culturale La Rada, che ha sede nella vecchia officina dei treni della Centovallina. Il lavoro sarà legato alla storia e alla forma dei quell’edificio.
bio
Andrea Sala è nato nel 1976 a Como.
Principali mostre collettive: 2003 Ratio a cura di A. Bruciati, Galleria comunale d’arte contemporanea, Monfalcone; Fragments d’un discours italien, Mamco,Ginevra; Prototipi 02 a cura di B. Pietromarchi e S. Chiodi, Fondazione Olivetti, Roma.
2002 Exit a cura di Francesco Bonami, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino;
2001 Art and the city, a cura di M. Gorni e B. Theis, Cantieri Isola, Milano; Almost Famous, a cura di M. Altavilla, Castel S. Pietro, Bologna; Spazio Bianco, a cura di D.Lotta, Terminal, Bologna; Junge Kunst aus Italien, Magdebourg.
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exibinterviste_la giovane arte è un progetto editoriale a cura di paola capata
[exibart]
Davvero complimenti per l’intervista!
Le domande sono di una banalità sconcertante!
E poi “da dove vieni?” mi verrebbe da chiederlo a chi ha fatto l’intervista!