Come sei diventato un artista? Cosa è stato davvero determinante? In questo momento della tua vita stai facendo quello che hai effettivamente scelto o fai questo lavoro per cause fortuite?
All’inizio, tanto tempo fa, credo di aver scelto di fare l’artista per amore, dovevo trovare il modo di emergere, mi sono inventato un ruolo, quindi sembrava una scelta dettata da cause esterne, non sapevo quanto fossi vicino a ciò che cercavo realmente, inconsciamente ho scelto quello che non potevo ammettere di voler prediligere. Fare questo lavoro è come un atto di fede che si rinnova ogni mattina.
Solitamente spetta ai critici sintetizzare e descrivere la ricerca di un artista. Se dovessi invece sinteticamente, in tre righe, definire la tua arte come faresti?
Farei male in quanto sono guardingo circa le definizioni, la mia ricerca si basa attualmente su di un iter strettamente personale “a ritroso”, sto ripercorrendo tutte le tappe delle mia vita, l’unica vita che comprendo e ne traccio le traiettorie, riporto alla luce reperti, scavo, intanto la comparo con le altre.
Un tuo pregio e un tuo difetto nel lavoro.
Fare esattamente quello che voglio, il pregio; il difetto è non credere in me stesso quanto dovrei.
E nella vita?
Come sopra, sono una persona libera solo in assenza di me stesso.
Una persona davvero importante attualmente per il tuo lavoro?
Martina la mia compagna, è antropologa e mi fa conoscere la scienza e la filosofia, di cui sono curiosissimo, in modo piacevole.
Sei soddisfatto di come viene interpretato un tuo lavoro? Chi l’ha interpretato meglio e chi invece ha preso una cantonata? Che rapporto hai con i critici e con la stampa?
Ho suonato per dodici anni prima di tornare a dipingere, nessuno ha mai capito che musica suonassimo, un po’ per demerito nostro, un po’ per smania delle definizioni degli intervistatori; credo che adesso stia accadendo la stessa cosa, non faccio un lavoro dichiaratamente sociale, credo che per interpretare correttamente un mio lavoro siano molto importanti gli occhi, molto meno il ragionamento.
Che rapporto hai col luogo in cui lavori. Parlaci del tuo studio…
Quale è la mostra più bella che hai fatto e perché?
Sottosale la prima mostra di artisti senesi dopo undici anni, cosa fosse accaduto agli artisti della mia città in quel periodo è un mistero. Curata da me e Francesco Carone, una grande esperienza anche visto cha la prossima potrebbe tenersi tra ventidue anni data la classe politico-economica completamente inetta che finge di occuparsi di cultura nel nostra città.
Quanto influisce la città in cui vivi con la tua produzione? E’ indifferente? Preferisci girare di città in città o lavorare sempre nel solito posto?
Sarebbe indifferente in quanto ciò che mi serve lo porto sempre con me, ma qui a parte le poche occasioni ho anche pochissime distrazioni e questo è un bene.
Tra i giovani artisti italiani chi secondo te ha delle chance per emergere sulla scena internazionale? Chi invece è sopravvalutato?
Sicuramente Francesco Carone con cui condivido più di una amicizia, vede le cose nella loro struttura interiore e non si dà alla moda, anche questo è un bene, anzi una dote. Nessuno è sopravvalutato in quanto ancora, tra i giovani artisti, nessuno ha mostrato un’indole decisamente moderna.
La politica culturale italiana e il sistema privato dell’arte. Per un giovane artista cosa significa rimanere in Italia, produrre, investire, costruire qui?
Bisogna scindere la componente narcisistica da quella delle necessità primarie se le due cose coincidono è meglio cambiare aria, altrimenti restare e lavorare, lavorare tantissimo.
massimiliano tonelli
[exibart]
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