Due parole sulla tua formazione?
Chitarra elettrica, liceo classico e rock psichedelico.
Suona bene. Poi che è successo?
Ho cambiato direzione iscrivendomi all’Accademia, iniziata a Firenze e conclusa a Bologna. Durante questo periodo ho trascorso un anno all’University of the West of England, a Bristol, dove mi sono avvicinata alla scultura.
L’arte visiva da un giorno all’altro?
Macché. Disegno incessantemente da quando ho tre anni. Solo che adesso lo faccio con più consapevolezza.
E la musica?
Confesso che i concerti mi mancano. Ma ho dovuto abbandonare l’ambizione di fare la musicista. Non potevo continuare a ignorare l’ossessione per il disegno. A un certo punto ho semplicemente preso atto del fatto che, anziché suonare, preferivo starmene a disegnare.
L’arte contemporanea la seguivi comunque?
Sì. Alcuni artisti sono stati fondamentali all’inizio e ora sono interiorizzati. Soprattutto Louise Bourgeois, Joseph Beuys, Francis Bacon, Robert Morris, Ad Reinhardt. Altri no, sono scoperte più recenti: Robert Gober, Mona Hatoum, Cornelia Parker, Gabriela Fridriksdottir, Tony Oursler, Yael Davids, Elina Brotherus, Christiane Lohr, Ugo Rondinone.
Il tuo lavoro lo puoi descrivere?
È una riflessione sul disegno, che raggiunge esiti imprevisti e lontani dalla natura stessa di questa disciplina. Nei miei lavori c’è una figurazione nascosta dalla sfocatura che mostra un’organicità irreale, microscopica e visionaria. I segni disegnati diventano capelli per analogia formale.
Quale il ruolo dell’artista nella società?
Penso che fare l’artista sia un atto implicitamente politico. Se uno non volesse cambiare niente o fosse in accordo con ciò che lo circonda lavorerebbe, che so, nel campo della moda.
Che tipo sei?
Vorrei che fosse sempre tutto perfetto. Una pulsione che, estremizzando, può essere un pregio come un difetto. Cerco comunque di essere ragionevole! Poi c’è l’incessante irrequietezza.
Come va con mercanti e tuttofare dell’arte?
Per il momento bene, ma riparliamone fra qualche anno.
Incontri particolarmente importanti?
Incontri se ne fanno di tutti i tipi. Ma a sorprenderti sono le persone che non conoscono bene il lavoro. Quelle, per capirci, che fanno un’osservazione e ci pensi tutta la notte.
Che idea ti sei fatta della critica?
Sono abbastanza contenta di come viene interpretato il mio lavoro. Persone che stimo e ascolto sono Alberto Mugnaini, Gaia Pasi, Alessandro Sarri, Saretto Cincinelli. Credo che i critici siano figure di riferimento per l’artista, quindi utili. Soprattutto se si riesce a stabilire un rapporto basato sulla stima e l’empatia, e se questi riescono ad essere rispettosi nei confronti del lavoro, anziché correre dietro alle loro teorizzazioni. Quelli che stroncano o elevano un artista senza una conoscenza dettagliata dell’opera, senza una paziente curiosità, incrementano soltanto la cattiva qualità e il cumulo di parole inutili. In generale si ha comunque l’impressione di una deviazione costante che non raggiunge mai il centro.
Come ti trovi a Firenze?
Cerco sempre di non accorgermi di viverci, la sua è un’influenza tutto sommato negativa. Difficile prescindere dal peso di tutta la cultura antica di cui vive e si alimenta tuttora.
Tu come reagisci?
Trascorro quasi tutto il mio tempo in studio. Che è un’estensione di me. Ha un’atmosfera rarefatta che ricorda un po’ la luce del nord Europa. Più che un luogo è uno stato mentale: mi permette un distacco completo con il reale. Nasce tutto qui, dai disegni alle sculture. È anche set per foto e video. Appena posso sono in viaggio all’estero a caccia di nuove idee e situazioni che non riesco a trovare qua. Entro breve cambierò città, almeno per un po’ di tempo.
Una mostra da ricordare?
Genoma X. Per lo spazio espositivo (lo Spazio Viale Giannotti, Ex Quarter ndr) che è paragonabile ad uno spazio museale. E per la fiducia che il curatore Sergio Risaliti mi ha dato affidandomi due intere sale, dandomi la possibilità di confrontarmi con una designer e un’artista che lavorano da molto più tempo di me all’interno del sistema dell’arte.
exibinterviste – la giovane arte è una rubrica a cura di pericle guaglianone
bio: Cristiana Palandri è nata a Firenze nel 1977, dove lavora. Mostre Personali: Stares, Out of Court in collaborazione con Quarter Relocated, a cura di Sergio Risaliti, Fiesole (2007); Vulnerario (Diatomee), Spazio Alberto Mugnaini, a cura di Alessandro Sarri, Milano; Cristiana Palandri, Villa Schneiderff, Kore Arte Contemporanea, testo di Pietro Gaglianò, Bagno a Ripoli (FI). Tra le collettive: Nonplusultra, a cura di Gaia Pasi, Daniele Ugolini Contemporary, Firenze; Genoma X (Cui Xiuwen, Johanna Grawunder, Cristiana Palandri) a cura di Sergio Risaliti, Viale Giannotti 81, Firenze; Anatema, progetto Quarter Apartment, a cura di Francesca Referza, Teramo (2007); Tusciaelecta, nella sezione di Innesti Doc, a cura di Desdemona Ventroni, Panzano ( FI ); Carte, Kore Arte Contemporanea, Dicomano (FI) (2006).
[exibart]
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