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exibinterviste – la giovane arte Elena Monzo
parola d'artista
Vivere senza smettere di disegnare. E disegnare senza (quasi) mai staccarsi dal foglio. L’attualità del medium più elementare e la disinvoltura di chi lo pratica da sempre. Con l’umiltà di paragonare il lavoro agli sms (e alle brioche)…
Da dove arriva Elena Monzo?
Dal disegno. Disegno da ventitre anni, e non ho mai smesso di farlo. Disegnare per me è un’esigenza. Liceo artistico e accademia di Brera sono venute di conseguenza. Disegno pure con la mano sinistra. Non sarebbe male riuscire a sfornare disegni come fossero brioche.
Ci sarà pure stato un momento determinante…
Sì. All’Accademia, durante l’ultimo periodo, quando c’è da tirare le somme. Dopo milioni di schizzi, di carte, dopo tutto quello che chiami “sperimentazione”, finalmente quella cosa che non sai definire, ma che ti rappresenta di più, emerge in una sintesi “elegante” che ti sbatte in faccia la tua percezione del mondo come una realtà davvero concreta. Allora capisci che sei nella direzione giusta, la tua, senza alcun dubbio, e quella cosa là diventa uno “stile” (che brutta parola…), un marchio. In realtà è un puzzle, che dopo tentativi sei riuscito finalmente a comporre. A quel punto la sensazione che provi è impagabile. In più ti rendi conto che non hai buttato via il tempo.
Adesso puoi raccogliere…
Sì, è un periodo molto positivo. Tutto sta avvenendo molto, anche troppo, velocemente. Viaggi, esposizioni, richieste, mostre, scadenze. È strano per me cercare di organizzarmi nel contesto “arte”. Comunque sono ottimista. E ho scoperto che quando non hai tempo perché dedichi la giornata ad altro, e cerchi un ritaglio di tempo per poter disegnare, quel ritaglio là risulta essere super fecondo. Suonerà paradossale, ma quando hai a disposizione tutto il tempo produci meno.
Non sarà che, più semplicemente, si “lavora” comunque?
Sì. È “lavoro” anche strappare le pagine dalle riviste nelle sale d’attesa del medico della mutua, dal dentista o dall’estetista. Cerchi di non fare rumore sennò qualcuno ti sgama. Ad ogni modo sono utili anche la memoria fotografica, l’attenzione per i dettagli, una curiosità sempre viva e lo studio della storia dell’arte. Diciamolo: la formazione del gusto è fondamentale per fare arte. Le tecniche incisorie mi hanno aiutato a riordinare gli equilibri, a pesare le forme nello spazio bianco, a vedere il foglio vergine già pieno di energia, potenziale.
Dov’è che ti cimenti, di solito?
A casa, in uno spazio molto intimo. In silenzio o con la musica, dipende. Di notte si lavora meglio sul piccolo formato, di giorno sul grande.
I tuoi lavori piacciono?
Sì, in generale sono molto apprezzati. Forse perché sono allo stesso tempo divertenti e cattivi. C’è anche chi ha commentato: “Belle le tue illustrazioni!”. Quand’è così sto zitta e penso: “questo non ha capito proprio un c***o”.
In tre righe ce la fai a presentarli?
Tre righe sono anche troppe. A me bastano tre lettere: sms. Il mio lavoro è come un sms. Rapido, diretto. Di solito è una domanda o una risposta. È una visione del contemporaneo. Ovvio, con tanti filtri: i media, il fantasmagorico mondo fashion, le fotografie cercate senza una logica precisa. E poi bla bla bla tutto quello che ci circonda. Il personaggio leader è certamente il segno. Che procede senza quasi mai staccarsi dal foglio, che ha carattere e che sa trovare nello sbaglio la via d’uscita. È questa libertà che mi affascina. È una lotta creativa, un gioco. Al contrario trovo che il tuffo nel colore porti ad un trip senza fine. In questo senso, forse l’unico, mi sento piuttosto razionale.
Qualche artista che ti ha appassionato?
Egon Schiele. Quando l’ho scoperto è stato amore a prima vista. Poi, Basquiat e Keith Haring. Quest’ultimo non tanto per i lavori, ma per come pensava, lavorava, viveva e scriveva. Poi, una certa attenzione per la street art. Ma anche la volontà di starne fuori, in realtà solo alcuni aspetti mi interessano. Poi tanta arte al femminile: Kiki Smith, Ellen Callagher, la Beecroft, la signora Louise Bourgeois, Tracey Emin, Silvie Fleury, le foto di Nan Goldin, i video di Pipilotti Rist.
Qualcuno da ringraziare, oltre te stessa?
Tutte le persone che hanno creduto in me, e forse più di me, fin dall’inizio. Importante è stato il Premio Italian Factory 2004, l’occasione giusta per mostrare i miei piccoli capolavori. Ringrazio Marco Cingolani e la mitica “no-rivista” NoMagazine: un’opportunità per conoscere persone che gravitano attorno all’arte, tra le quali il mio gallerista (San) Giovanni Bonelli. È lui che ha investito sul mio lavoro, spronandomi a non smettere e ultimamente facendomi viaggiare.
Vuoi citare una tua mostra?
That’s all folks!. È stata la mia prima collettiva di “seri e A” (spazio Contemporaneamente, a Milano). L’inaugurazione è stata simile ad un rave. Cito anche YourlineismakingmesowetrightnowIloveit (così, tuttoattaccatogiuro), nella Grande Mela. L’impatto è stato molto forte. In più una mostra a New York è stata per me una grandissima sorpresa.
Tutti bravi i tuoi colleghi?
Certo che no. C’è tanta arte-spettacolo in giro, roba che attira pubblico come al circo. Stiano a casa! Per non parlare poi dell’arte che sparisce e poi ritorna. Fa schifo, poi è cool, poi fa schifo: come il pantalone a vita alta.
exibinterviste – la giovane arte è una rubrica a cura di pericle guaglianone
bio: Elena Monzo è nata a Orzinuovi (BS) nel ’81. Vive tra Brescia e Milano. Collettive, fiere: yourlineismakingmesowetrightnowIloveit, Sara Tecchia gallery, 529 west 20th street, NewYork; SCOPE New York, Damrosch Park Lincoln Center, Bonelli Arte Contemporanea (2007); Senza Spazio, NoMagazine 05 a cura di No Production; That’s all folks!, Spazio Contemporaneamente, Milano; SHOWOFF, Spazio Pierre Cardin, Parigi, Bonelli Arte Contemporanea; SCOPE London, Truman Brewery 91 Brick Lane, Bonelli Arte Conemporanea; SCOPE Miami, Pavilion Booth Fair Roberto Clemente Park, Bonelli Arte Contemporanea; (2006); Senza Veli, NoMagazine 02 a cura di NoProduction, Spazio Contemporaneamente, Milano (2005); Premio Italian Factory per la giovane pittura italiana, Superstudiopiù, Milano; Salon I, Museo della Permanente, Milano (2004).
[exibart]
Un artista (???) non può parlare della sua arte più di quanto una pianta possa discutere di orticoltura.
brava elena
eeeeeeeeeeeeeee brava elena, più disegni per tutti
tuo lavoro elena buono! e proposito di brioches! Non visto che altro artista tale bittente in altra mostra poco tempo fa, tanti cose di disegno, istantaneo e nell’ultima mostra tante brioches disegnate e titolo opera era: “il popoletto infame a fame, vuole pane, omaggio a maria antonietta”. Morta decapitata pecché, aristocratica e disegno è come brioches, illustrazione come panino di autogrill…buon lavoro