Categorie: parola d'artista

exibinterviste – la giovane arte | Enrico Vezzi

di - 2 Settembre 2005

Come sei diventato così?
Esperienze, nient’altro che questo. Nel teatro, nella poesia, nella musica, nella psicologia, negli studi di altri artisti e in quello di mio zio. Nella figurazione giovanile di mia madre e in quella matura di un mio avo post-macchiaiolo…

C’è dell’altro?
I viaggi che hanno come meta i musei, le giornate in biblioteca sepolto dalle biografie degli artisti e quelle nelle librerie a perdere diottrie sfogliando cataloghi d’arte. E ancora: i concerti oceanici o, al contrario, le cime delle montagne. Persino gli amori andati male e quelli che potevano andar meglio. Penso che una “formazione” autentica debba attingere, per definizione, a più forme possibili.

E il tuo lavoro, sapresti parlarne in tre righe?
In tre righe? Semplice: la traccia di un incontro; una possibilità di cambiamento; un’opportunità di dialogo.

Quali artisti hai amato?
Ho amato chi è riuscito a commuovermi e a scuotere la mia mente. La prima volta fu Masaccio a Firenze, poi Rembrandt a Londra, Canova a Parigi, Fattori a Livorno, Beuys a Venezia, Koons a Bilbao, Boltanski a Copenaghen, Hirst a Berlino… Fino all’ultimo stupore, Gaba e Fischer a Milano, riflessione e disintegrazione dalla realtà al sogno.

E tu? come hai scelto di fare l’artista?
Diciamo che è accaduto per esclusione: mi sono trovato a non appartenere a nessuna delle altre categorie. Sicuramente è stata determinante, citando Sartre, l’esigenza di creare il mio destino “mediante un atto di libertà”, al di sopra di qualsiasi “creazione” prefabbricata. In secondo luogo, certamente, ha contato l’incontro con alcune persone, in primis il professore che alle medie fece sparire una mia copia del Napoleone di David.

Pregi e difetti, nel lavoro e nella vita…
Per me l’arte è un’ossessione, e credo che questo sia un pregio. Un difetto è non riuscire a sconfessare nessun lavoro, considerando in ognuno di essi l’occasione piuttosto che l’errore. Nella vita direi che un pregio è la mia curiosità insaziabile. Come difetto direi… il pregio di cui sopra: l’ossessione dell’arte.

Una persona importante oggi per il tuo lavoro?
Debora.

A tuo agio con i galleristi?
Il rapporto con i galleristi e con le persone che promuovono il mio lavoro è sereno. In questo momento sto lavorando con la galleria Ugolini di Firenze e con la galleria Battaglia di Milano. Con entrambi i titolari si va creando un rapporto, oltre che di lavoro, di amicizia.

Sei soddisfatto di come la critica ha finora letto il tuo lavoro?
Fino ad oggi, sì. Con i critici e i curatori con cui sono entrato in rapporto si è creato quel dialogo che ha permesso ad entrambi di conoscersi in maniera precisa. Ho sempre ben chiare le motivazioni che sostengono le mie opere, ma sono sempre pronto ad accoglierne di nuove per delineare non tanto “che cosa” faccio ma soprattutto “perché” lo faccio. E, soprattutto, di trarne insegnamento per il futuro. Cerco sempre di convogliare la complessità nella semplicità, e per far questo una continua analisi metacognitiva è fondamentale.

Parlaci del tuo studio…
Lessi tempo fa che quando Gonzales-Torres arrivò a New York cercò in tutti i modi di reperire uno studio per lavorare, ma quando finalmente lo trovò si rese conto che gli era perfettamente inutile. Ecco, nel ricordo di quella lettura mi ritrovo molto. I miei, solitamente, sono lavori site e time specific. Tutto, nel mio lavoro, nasce dall’incontro tra la mia storia e quella dello spazio. Quindi lo studio è per me poco più che un magazzino di vecchi lavori e materiali. Tuttalpiù un luogo dove opero quand’è impossibile farlo in loco.
Che si fa nel mio studio? Si guarda. C’è un piccolo televisore per guardare video, tre librerie per guardare la polvere, due finestre per guardare fuori, tre tavoli per guardare i miei disegni, una parete per guardare le foto e cinque poltrone per guardare nel vuoto…

La città in cui vivi condiziona la tua produzione?
No, in alcun modo. Al contrario, spero sia la mia produzione ad influire su di essa. Di sicuro contribuisco al suo inquinamento, con l’uso di spray e resine varie.

Tra le mostre cui hai partecipato, quale ricordi con più piacere?
La collettiva veneziana Retentiva, a cura di Raffaele Gavarro, lo scorso anno al Padiglione Italia. Soprattutto per il bel clima che si è creato tra gli artisti. E poi perché per la prima volta c’era qualcuno a darmi una mano per montare il mio lavoro. E per smontarlo, visto che l’avrebbero fatto poi i visitatori su mio invito, portandosi via in cambio una foto ricordo firmata.

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la rubrica ‘exibinterviste’ è a cura di pericle guaglianone

bio: Enrico Vezzi è nato nel 1979 a S. Miniato (PI), dove vive. Personali: Domestica, Soligo Art Project, 2004, a cura di Raffele Gavarro, Roma; Percezioni Indessicali, Torre Civica, 2002, a cura di Eva Vanzella, Bientina (PI); “ …E non vi fu che il mare”, a cura di Eva Vanzella, Palazzo Ghibellino, 2001, Empoli; HAIKU.IT. Quello che non hai visto non è mai esistito, Torre degli Stipendiari (2000), S. Miniato. Tra le collettive, le performance e gli eventi: Luxury, Galleria Antonio Battaglia, a cura di Raffaele Gavarro, Milano; ArtOuro, Daniele Ugolini Contemporary, Firenze; Flash Art Show, DanieleUgolini Contemporary,Bologna (2005); Esser Neve, a cura di Marta Ascani, spazio Essèr, Firenze; Cos’è rimasto?, a cura di Silvia Bottinelli, galleria La Corte, Firenze; Real/Unreal, a cura di Pietro Gaglianò, SpazioMinerva, Montescudaio (PI); Ricerca Artistica e Nuove Generazioni, a cura di Ilario Luperini, Archivio Piaggio, Pontedera (FI); Que reste-t il?, a cura di Silvia Bottinelli e Pietro Gaglianò, Ex Macelli Officina Giovani, Prato; Retentiva, a cura di Raffaele Gavarro, Padiglione Italia, Venezia; Outbound, a cura di Silvia Bottinelli, Villa Medicea di Cerreto Guidi, Firenze; Rosa Rosae, a cura di Mara Borzone e Delio Gennai, StudioGennai, Pisa (2004); Reverse. Lo Spazio Ribaltato, a cura di Silvia Bottinelli, Studio Gennai, Pisa; ContestedSpace, con Gruppo Grey, a cura di Marco Scotini, stazione Leopolda, Firenze (2003); III Biennale di Pisa, a cura di Nicola Micieli, Palazzo Lanfranchi, Pisa; Sogni di Giorno, a cura di Patrizio Arrighi, Interno2, Empoli FI (2002).

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