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exibinterviste – la giovane arte Flavio De Marco
parola d'artista
Flavio de Marco ovvero della rappresentazione. Tra finestre nuove e un’urgenza antica di orizzonti. La passione per il Martini e il bisogno di guidare qualche ora prima di mettersi al lavoro. E per un pelo non diventava farmacista…
Come hai iniziato?
Leggendo monografie su artisti delle avanguardie storiche, quando facevo il liceo. Ho iniziato per gioco ad adottare il loro punto di vista sulla realtà. Poi mi sono chiesto quale potesse essere il mio rispetto alle domande che loro ponevano. E alla fine, mentre studiavo per diventare farmacista, nonostante un primo tentativo di coniugare la pittura e la chimica ho sentito la necessità di fare una scelta netta.
La tua formazione vera e propria?
Liceo classico, dieci esami all’università nella facoltà di Farmacia che non ho mai finito, Accademia di belle arti. Poi redazioni di riviste, qualche manifestazione e notti di discussioni sul senso della rappresentazione (che tutt’ora continuano).
E il tuo lavoro, te la senti di presentarlo in poche parole?
Tutto il mio lavoro non si è mai mosso dal problema di costruire uno spazio dove guardare “fuori”. Costruire la cornice di una finestra e cercare di capire se al di là di essa fosse visibile un’immagine. L’immagine che ho sempre cercato è l’immagine di un paesaggio che, oggi, non riesco più a vedere, quindi non mi è rimasto che rappresentare la cornice da cui vedo un orizzonte piatto. In un certo senso, mi sono fermato prima di Leon Battista Alberti.
Guardando indietro, quali artisti ti vengono in mente?
Io cerco una sintesi: Lucio Fontana e Apelle (della cui opera però non è rimasto nulla!)
Pregi e difetti?
Non riesco a fidarmi molto del presente, motivo per cui ho spesso pregiudizi su ogni opera che è immediatamente intelligibile al pubblico. Tendo a screditare ogni forma di immediato consenso che, a mio avviso, si rovescia in una sorta di populismo critico. Questo ovviamente va a scapito di una mia lucidità di lettura dell’opera.
E poi?
Tendo sempre a mettere in contatto gli artisti tra di loro, anche di ambiti differenti, poiché credo fermamente nella possibilità di un percorso comune.
E nella vita?
La passione per il cocktail Martini.
Persone che vuoi menzionare?
Mi vengono in mente soltanto persone decedute. Poi alcune preziosissime amicizie, ma quelle afferrano prima la vita.
Come va con i galleristi?
Fino ad ora bene. Tutti i rapporti professionali che ho avuto e continuo ad avere, vivono soltanto alla luce di un confronto umano. Diversamente finiscono. Questo non vuol dire che ho un’amicizia con tutti ma che pretendo da ogni persona che si occupa del lavoro una comprensione delle intenzioni che ne stanno a monte.
E con la stampa? La lettura critica del tuo lavoro ti ha convinto finora?
Qualsiasi interpretazione del lavoro è sempre una produzione ulteriore di significato o una sottrazione. Non esiste la critica “oggettiva”. Credo gli aspetti più importanti del mio lavoro li abbiano capiti alcuni artisti e uno due critici che, però, non hanno il potere di promuoverlo come vorrebbero. Spesso leggo sui cataloghi riassunti delle mie stesse parole e a volte penso che sia meglio così. Ho sempre creduto che l’artista sia il miglior critico del suo lavoro e la penso ancora così. In definitiva credo negli artisti-teorici che, in qualche modo, non lasciano spazio a nessuna critica.
Parlaci del tuo studio…
La maggior parte delle idee mi vengono quando guido la macchina per più di un’ora. Quella dimensione nel mio studio non l’ho mai raggiunta.
E le città in cui vivi, Roma e Milano, influiscono nel tuo lavoro?
Generalmente influisce poco, oppure non me ne rendo conto. Mi accorgo però che il rapporto con le città dove ho vissuto è sempre stato un rapporto in differita. Ne comprendo l’influenza soltanto a distanza. Una genuina estraneità al luogo in cui mi trovo mi permette generalmente di familiarizzare con quello in cui non mi trovo più.
exibinterviste – la giovane arte è una rubrica a cura dipericle guaglianone
bio: Flavio de Marco nasce a Lecce nel 1975, vive tra Roma e Milano. Tra le personali: “Mimesi.01(II)” Spazio Aperto-Galleria d’Arte Moderna di Bologna (con F. Arena e C. M. Schirinzi), a cura di C. Pilati; “Mimesi.02 + Luca Pancrazzi”, Care Of, Milano, a cura di A. Madesani (2005); “Mimesi.00”, Galleria Studio G7, Bologna (2004); “Orizzonte”, Studio Ercolani, Bologna; L.I. ART, Casina Giustiniani, Roma, a cura di M. Carriero, con G. Asdrubali (2003). Tra le collettive: “Mimesi.01(I)” Arte Fiera Bologna – Galleria Studio G7; “Crysalis. Teoria dell’evoluzione” Biennale di Arte Contemporanea, Castello Svevo, Bari-Trani, a cura di G. de Palma e P. Erbetta; “New Thing” Galleria Spirale Arte, Milano, a cura di L. Beatrice; “Rigorosamente Bianco e Nero” Galleria Studio G7, Bologna; “New Thing 2” Galleria Spirale Arte, Pietrasanta, a cura di L. Beatrice; “Ground Zero. Lo spazio del Nulla” Palazzo della Pretura, Castell’Arquato (PC), a cura di M. Paderni (2005); “ZILCH”, Galleria Arte e Ricambi, Verona, a c. di A. Zanchetta (2004).
[exibart]
Mantenersi in FORMA fa male.
La generazione degli anni settanta scopre Forma1…e ci dice che è arte nuova!!!!
Cavolo che ricerca!