Categorie: parola d'artista

exibinterviste – la giovane arte | Gea Casolaro

di - 5 Marzo 2004

Come sei diventato un artista? Cosa è stato davvero determinante? In questo momento della tua vita stai facendo quello che hai effettivamente scelto o fai questo lavoro per cause fortuite?
E’ stato determinante conoscere degli artisti, dei critici: qualcuno che fosse già dentro una realtà che all’epoca mi sembrava sacra ed inavvicinabile. E da allora penso che essere un’artista sia un po’ come essere un’atleta.

In che senso? Che vuoi dire?
Intendo dire bisogna tenersi in allenamento: dialogare, ricevere stimoli, mettersi a confronto con gli altri, trovare opposizione e riscontro alle proprie idee. Per questo non mi stancherò mai di ripetere come gli incontri di “Oreste” siano stati per me un’esperienza fondamentale, dove ho scoperto mille altri modi di pensare e di fare arte; ogni giorno, per me, equivaleva a una continua riaffermazione e messa in crisi dell’essere artista e questo, credo mi sia stato molto utile per crescere in tal senso.

Come descriveresti il tuo lavoro?
Nella nostra cultura, l’immagine è sempre più preponderante, spesso determinante nel certificare una realtà. Quello che cerco di fare con il mio lavoro è indagare su altre variazioni, sulle infinite possibilità di significati e di sguardi contenuti in ciò che ci circonda e nelle rappresentazioni che ne vengono date.

Un tuo pregio e un tuo difetto.
Ho molta passione per quello che faccio, per questo ci metto grande impegno. Sono eccessivamente riservata e così non curo molto l’aspetto “public relation”, che è però una parte importante.

Sei soddisfatta di come viene interpretato un tuo lavoro? Chi l’ha interpretato meglio e chi invece ha preso una cantonata? Che rapporto hai con i critici e con la stampa?
Sono molto soddisfatta dei rapporti in cui mi riesco a confrontare veramente, con alcune persone con cui si parla e ci si ascolta reciprocamente. Ho dialogato per molti anni con Viviana Gravano, la cui vitalità intellettuale è sicuramente stata per me uno stimolo fondamentale. Altre due critiche con cui ho lavorato e con cui mi sento in sintonia sono Letizia Ragaglia e Olga Gambari. Ci sono poi altre persone, dei collezionisti, con cui ho uno stretto rapporto di amicizia, che per me sono un àncora con la realtà del mondo dell’arte, che spesso tende a sfuggirmi. A proposito della stampa vorrei parlare di una rivista con cui collaboro ormai da anni “Aperture. Punti di vista a tema”, una rivista che si occupa di argomenti di attualità differenti mettendo insieme filosofi, artisti, giornalisti, psicologi, economisti e tanti altri, in un continuo confronto e scambio. Poi c’è il piccolo autoritratto richiestomi da temaceleste, che sarà pubblicato sul numero di marzo. Per il resto, sono sempre curiosa e in attesa di scoprire altri punti di vista.

Che rapporto hai col luogo in cui lavori. Parlaci del tuo studio…
Lavoro per la strada, in giro per il mondo, per cui il mio rapporto con lo spazio e con l’attualità, cambia con il luogo, che sia Buenos Aires, Praga, Berlino o Bolzano: cerco sempre, per quanto possibile, di approfondire la relazione con la città e la sua realtà.

Qual è la mostra più bella che hai fatto e perché?
Come scrive il poeta Nazim Hikmet “…il nostro figlio più bello non è ancora nato. I nostri giorni più belli non li abbiamo ancora vissuti…”. Tra i lavori fatti, sicuramente Maybe in Sarajevo, esposto in spazi diversi e pubblicato dall’editore Meltemi nel 2001, è quello in cui penso di aver raggiunto una perfetta sintesi tra poesia, politica, attualità, in piena coerenza con tutto il mio lavoro di riflessione sullo sguardo.

La politica culturale italiana e il sistema privato dell’arte. Per un giovane artista cosa significa rimanere in Italia, produrre, investire, costruire qui?
Mi sembra che le cose in Italia, stiano decisamente migliorando, anche se mi rammarico ancora spesso per l’eccessiva settorialità delle diverse discipline artistiche nel nostro paese. Credo che ci vorrà ancora un po’ di tempo, però, perché si modifichi, l’attitudine del sistema istituzionale italiano nei confronti dell’arte contemporanea rispetto all’estero. Confrontarsi con altre realtà è sempre importante e sarebbe molto utile che gli Istituti Italiani di cultura nel mondo si strutturassero come le Accademie straniere che, in Italia e altrove, danno la possibilità ai propri artisti di soggiornare, facendo conoscere il loro lavoro in altri paesi. Penso che le istituzioni italiane non credano abbastanza nel fatto che i loro artisti contemporanei siano portatori di cultura e di idee di cui andare fieri. O forse hanno paura proprio di questo.

[exibart]

Visualizza commenti

  • ciao Gea! Sicuramente non ti ricordi di me. Ci siamo conosciuti durante l'allestimento di Exit; Ero quel ragazzo che ti ha aiutato ad appendere al muro bianco della fondazione rebalengo quella caterva di fotografie che costituiscono il tuo lavoro "May Be in Sarajevo" e che ti proponeva di usarla tutta per riempire/invadere lo spazio ristretto che poco garbatamente ti era concesso.Remember? Discutevamo tra l'altro proprio della potenziale "menzogna" insita in qualsiasi linguaggio, che sia visivo, verbale,...; si sarebbe potuto anche discutere di ciò che Massimo Carboni definisce "l'impossibile critico", ovvero l'irriducibilità del linguaggio visivo al linguaggio verbale, discorso valido in parte, secondo me, anche per il tuo suddetto lavoro (Carboni si riferisce nel suo libro alla critica d'arte). Sono contento per il tuo crescente "successo", benché proprio quel lavoro che io ho potuto vedere non fosse originale (non che io sia un sostenitore dell'originalità, valore che il postmodernismo ha giustamente eliminato dall'orizzonte dell'arte) e le fotografie non fossero apprezzabili da un punto di vista formale (probabilmente non era neppure tua intenzione che lo fossero). Sempre in gamba, simpatica ragazza, Diego.

  • Scusa Diego...fondazione rebalengo?!
    Chi e' un re idiota genovese?
    E dire che sei di torino...

  • brava? bravissima?
    a me sembrano proprio delle normalissime foto.
    magari non le capisco, ma non vedo niente, dalle inquadrature al colore, niente che si distingua per pregio. Questo però è solo il mio personale e umile punto di vista.

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