Che formazione hai?
Sono un naïf. Non sono laureato in niente e cerco di imparare tutto da solo, principalmente ascoltando. L’arte che mi piace davvero non ha una firma davanti. Mi riferisco alle bambole Kachina degli Hopi, alle maschere lignee di Guerriero in Messico, alle pitture puntiniste degli aborigeni, ai mandala tibertani, alle statue in cartapesta dei santi.
L’arte è stata una scelta recente?
Da piccolo disegnavo continuamente. Ricordo mio nonno che mi portava nei bar dove giocava a carte con gli amici, mentre io fissavo i quadri alle pareti, spesso ritratti di pagliacci tristi. Quando poi sono cresciuto, nessuno voleva che mi iscrivessi a una scuola d’arte, ma io l’ho fatto lo stesso. La consapevolezza che non avrei fatto altro nella vita è arrivata nel ’96, quando mi sono trovato di fronte alle tele megalitiche di Julian Schnabel.
Indagare l’attualità non ti interessa?
Non è il mio campo e in più è troppo di moda. Io sono un artista anacoreta, uno che se ne sta in disparte. Non capisco nulla di politica e non guardo la tv.
Dal punto di vista critico che riscontro hai avuto?
Chi ha avuto occasione di visitare il mio studio un’idea del mio lavoro, anche approssimativa, se l’è fatta. Gli altri, dispiace dirlo, sono convinto non abbiano neanche inquadrato l’argomento. Ad esempio, mi è capitato di leggere una recensione nella quale il critico di turno apostrofava il mio lavoro come “provinciale” (in senso dispregiativo), senza rendersi conto che mi faceva un complimento!
Parlaci di questo tuo studio…
È un po’ una wunderkammer, fatta di oggetti straordinari che conservo per le loro caratteristiche intrinseche ed esteriori (così recita Wikipedia). Se non avessi questo spazio probabilmente sarei un vagabondo (come ero), o starei tutto il giorno a compilare application per residenze all’estero, come fanno in tanti. Disporre di un luogo dove mettere tutto ciò che raccolgo è per me una cosa davvero importante. Di spazio utile per lavorare ce n’è poco: da quando ho buttato tutti gli arnesi per la pittura, le mie opere si mescolano tra gli innumerevoli altri oggetti; tavoli e pareti sono diventati contenitori, non si sa bene cosa sia stato fatto da me e cosa no. Spero solo di non dover mai traslocare…
Quale progetto realizzato ti ha particolarmente soddisfatto?
Quello proposto l’anno scorso a Corso aperto, alla Fondazione Ratti. Ho avuto la possibilità di lavorare attraverso la performance in modo completamente nuovo. Sonata n. 1 (interrotta) è nata e si è sviluppata all’interno di un luogo di discussione, cosa assai rara oggi in Italia. Questo lavoro (“visto” da pochissime persone e mai più ripetuto) ha avuto per me una grandissima importanza, perché per la prima volta ho lavorato sotto lo stimolo della percezione del pubblico, con uno strumento autoprodotto legato alle origini della musicoterapia tradizionale, quella che serviva a liberare i tarantati dai loro mali. Il suono si ottiene strofinando un archetto dentato su una struttura fatta di rami e ricoperta di sonagli metallici. Di fatto ho rielaborato uno strumento musicale della tradizione salentina, il cosiddetto “violino dei poveri”, che riproduce il canto della cicala. L’ho suonato per ben tre ore, nascosto al di sotto di una grata nella chiesa di San Francesco, a Como, interrompendomi tutte le volte che vedevo uno spettatore entrare attraverso lo specchio di luce sul pavimento della botola. Tutti sono stati attratti da quel suono, da quella grata, ma in realtà nessuno ha visto l’azione nel suo compiersi.
Che ci fai a Milano?
Se c’è una città che ti fa venire la nostalgia di tutto, questa è Milano. Per paradosso qui ho ritrovato le mie radici culturali e il lavoro ha avuto un’evoluzione. Certo, mi mancano le serate nelle masserie, il cibo che profuma di terra, le discussioni autentiche, l’idea di orizzonte e il rumore del mare… Quella di vivere a Milano è una scelta strategica: in ogni momento puoi salire su un aereo, sparire per poi ritornare e sentirti a casa nel luogo più estraneo di tutti. In fondo tante opere nascono in giro, si sviluppano in un posto e si realizzano in un altro ancora. L’artista contemporaneo è in qualche modo un nomade, come i primi uomini sulla terra…
Ma non disdegna gallerie e collezioni private…
Sono un cane sciolto, non ho padroni e non mi piacciono quelli che rispettano il cane per il padrone (e con questo ho detto ciò che avevo da dire sul sistema dell’arte italiano). Con il mio primo gallerista il rapporto si è chiuso per disperazione, credo da parte di entrambi. Può succedere di sbagliare, quando non ci si conosce e si arriva da un paesino di pescatori del sud Italia. Finora ho lavorato con Nicola Ricci, Yumie Wada e Attilio Dal Monte dello Studio Ercolani. Ora sono con Antonio Colombo, bravissima persona che mi apprezza e mi sostiene da sempre. Forse dovrebbe essere un tantino più aggressivo, soprattutto con i collezionisti: gli rimprovero il fatto di non chiamarsi… Antonio Condor!
Chi è davvero importante attualmente per il tuo lavoro?
Dio.
Un artista emergente per il quale fai il tifo?
Faccio il tifo per tutti gli artisti davvero italiani. In fondo, quando si cerca un artista di un determinato posto si vorrebbe che costui fosse rappresentativo di quel posto, no? L’international style lascia il tempo che trova. Non sono un no-global, né un nazionalista, semplicemente amo la mia terra e la sua la cultura, quella popolare soprattutto.
exibinterviste – la giovane arte è una rubrica a cura di pericle guaglianone
[exibart]
Fino al 2 giugno 2025 il Forte di Bard dedica una mostra a Emilio Vedova, maestro indiscusso della pittura italiana…
Dopo otto anni di lavori, quel percorso lungo un chilometro che collega gli Uffizi a Palazzo Pitti torna ad essere…
Re Lear è morto a Mosca, Re Chicchinella, Lo cunto de li cunti: tanti gli spettacoli che hanno spiccato per…
Dai film cult alle ultime uscite del 2024. Una selezione di titoli estremamente vari, accomunati soltanto da case d'asta, vendite,…
Dai costumi e scene per balletto di Yves Saint Laurent, all’evoluzione del colore rosso esplorato attraverso tessuti e documenti storici:…
Sulle note di All I Want for Christmas Is You di Mariah Carey o di Last Christmas, ma anche dell’intramontabile…