Il teatro è una delle fonti principali della tua arte, tra le fonti di Philophobia citi Danio Manfredini, il teatro della Valdoca, la Raffaello Sanzio, i Motus…
Il teatro è per me un punto di riferimento costante, pensa all’idea stessa di maschera, è un discorso che continuo a portare avanti nei miei lavori, nella serie Dietro le Quinte il trucco da clown non è altro che un modo per nascondersi; il clown in sé è una figura molto triste, il più delle volte è costretto a dissimulare la tristezza che si porta dentro. Anche per Phiolophobia ho trasfigurato alcuni volti con delle maschere da maiale, lo stesso Mario Banana, il protagonista di Introverso,
Nei dittici di Philophobia dei ritratti di bambini come straniti sono affiancati a degli scenari molto inquietanti, delle visioni di boschi, come soggettive di qualcuno che fugge. Considerando quanto il teatro sia determinante per la tua arte, trovo un collegamento molto forte soprattutto con l’esperienza della Raffaello Sanzio, nella loro ricerca di un teatro che sprigioni scosse, pulsazioni.
La dimensione stessa del dittico, l’idea di congelare la narrazione, comporta una forte tensione emotiva, è questo l’effetto che vuoi?
Si, voglio alimentare una tensione continua, infinita. Ho scelto di congelare la narrazione perché penso sia molto più terrificante il non sapere cosa di preciso sia accaduto, pur avendo coscienza che qualcosa è accaduto. Un ipotetico mostro è ancora più terrificante se non ne conosci le sembianze perché la fantasia è molto più forte di quella che può essere la realtà ed è tutto racchiuso in quella linea che congiunge i punti, nello spazio tra i due dipinti. È un lavoro aperto a mille possibili versioni: tra il bosco e il bambino c’è tutto il nostro immaginario, ciò sta a significare che i mostri sono dentro di noi. Ormai sento di poter superare anche la dimensione del dittico, togliendo uno dei due punti di riferimento la logica del lavoro non cambia, anzi l’effetto di tensione ne risulta amplificato. Il bosco basta perché anche se non è dipinto un bambino, io sento che c’è, forse nascosto dietro un albero, la sua presenza è intrinseca alla foresta stessa. Il secondo punto di riferimento ormai non mi è più necessario. Ad esempio nelle opere pittoriche che presenterò allo Studio Ercolani per Introverso il personaggio protagonista dei dipinti si è fuso con lo scenario, “l’introverso” Mario Banana è nel bosco. L’idea stessa di bosco ha in sé una forte carica evocativa, che tocca l’immaginario fiabesco. È un luogo ambiguo e può essere benissimo inteso come metafora della città, di notte con l’oscurità la percezione delle cose cambia e anche una presenza innocua può diventare terrificante.
I protagonisti di Philophobia sono quasi sempre dei
L’infanzia è il momento in cui si determina la personalità di un individuo, questa è la chiave di lettura di tutta la mia opera. I problemi che vivi in età adulta sono reminiscenze di scontri che ti trascini dietro dall’infanzia. Ciò che ti accade da piccolo, il contesto in cui cresci, influenza tutta la tua vita futura, le scelte e può essere la causa principale della difficoltà nel relazionarsi agli altri; c’è una frase che ho inserito a inizio catalogo della mostra presso la galleria di Nicola Ricci che è molto forte…(“Quando ero piccolo, mia madre mi diceva sempre: ”). Se hai avuto un’infanzia difficile, i ricordi affiorano sempre, anche se cerchi di soffocarli; da piccolo passavo molto tempo da solo, si può dire che ho passato la mia infanzia a giocare con dei pezzi di legno, questo mi ha segnato profondamente, ancora oggi riesco a stare per molto tempo da solo, anche senza parlare e sto bene, ecco sono fin troppo abituato a stare da solo…
Quanto c’è di autobiografico nella tua arte…penso anche al testo del catalogo di cui mi hai appena parlato, per quella mostra Luca Beatrice ha scritto una piccola storia di un bambino di nome Luigi…
Quello è un testo anomalo, nel senso che è un po’ fuori dagli schemi, però funziona e a me piace tantissimo.
Luca si è proprio innamorato del mio lavoro, quando è venuto nel mio studio la prima volta, abbiamo scoperto di avere molti interessi in comune, abbiamo parlato di musica, di film, poco di pittura. Lui ha scritto di un bambino di nome Luigi ma quel bambino in realtà è lui, quella forma di philophobia è la sua, non la mia. Senza dubbio abbiamo avuto delle esperienze infantili simili che gli hanno scatenato determinate emozioni; quando gli raccontavo di me, della mia infanzia, lui in certi aspetti si è ritrovato ed è riuscito a scrivere di me scrivendo di sé. In tal senso può considerarsi un testo autobiografico, diciamo che sono riuscito a stimolare la sua philophobia…
Fai anche video ma la pittura resta una costante del tuo lavoro. Cosa riesce a darti di più la pittura rispetto ad altri mezzi espressivi?
La pittura mi piace perché mi rimette di continuo in gioco, dopo tanta ricerca e selezione scegli un’idea ma non è detto che il risultato poi sia efficace come potevi aver previsto…è una messa in gioco perché non puoi sapere quale sia il risultato finale. E’ qualcosa che nasce dalle tue mani, non è prevedibile e soprattutto non è un processo reversibile. In ogni dipinto c’è sempre un momento buono dove qualcuno dovrebbe fermarti, è un momento che se rovini non puoi ripristinare. La pittura vive una tensione continua.
Per il progetto di Introverso presenterai anche un video…prima mi dicevi che non è proprio un video d’arte, che è più simile ad un cortometraggio…
Mi piace pensarlo come un “fim-nano”…Dura sette minuti, scorre con semplicità e incuriosisce ma mano che va… fino alla parte finale, la più commovente. Ha dei tempi molto serrati, quasi da videoclip…
Per la realizzazione ti sei avvalso di una collaborazione davvero inedita con Cristiano Dal Pozzo, autore di videoclip per Modho, Afterhours, Timoria…immagino sia stato un confronto stimolante…
Decisamente sì, lavorare con chi di cinema se ne intende può davvero aprirti gli occhi, pensa che dopo molti giorni di riprese e di montaggio tutto è stato concentrato in sette minuti di video. Un artista che fa video molto spesso si concede troppe licenze ed è convinto che gli siano dovute semplicemente perché è un artista. Penso che bisognerebbe prestare più attenzione al processo qualitativo nella produzione di un video, soprattutto quando l’idea è una misera idea (e il più delle volte purtroppo è così…). Al di là di queste considerazioni la realizzazione di questo video è stata per me una forte emozione, vedere pian piano come si stesse materializzando una mia idea, renderla visibile anche agli altri, è stato bellissimo e strano al tempo stesso…una cosa che esisteva solo dentro di me, ora è visibile a tutti…
E’ la prima volta che esponi un tuo video accanto a delle opere pittoriche…stai cercando una sorta di integrazione tra i due medium, la ritieni una svolta importante per il tuo lavoro?
Introverso è semplicemente un progetto che ho articolato su due livelli, le opere pittoriche e il video potrebbero essere anche lavori completamente staccati. Questo video ha una valenza autonoma, come l’avevano gli altri video, il filo conduttore che li unisce è proprio il non-comune, la diversità…
Una diversità che si vive come condizione normale…
Una diversità domestica…La diversità entro quattro mura rimarrà sempre una normalità, diventa diversità quando esce fuori…
L’idea che basti poco a ribaltare ogni prospettiva è presente anche negli altri tuoi video. La normalità di Mario Banana diviene diversità nel momento in cui si confronta con il mondo esterno, tuttavia la scelta di essere un “introverso”, il suo isolamento come forma di philophobia, potrebbe essere una normalità possibile…
Perché no, non è da escludere, è il minimo che possa accadere, ci sono tante cose che diventano spiacevolmente normali, in questo caso Mario vive la sua vita da isolato, non fa male a nessuno se non a se stesso, ma dopotutto è bene che sia così…
E’ un bene che sia isolato…perché?
Perché il progetto è philophobico. L’unico rapporto che lui ha è col nano servitore che di fatto è per lui l’unico contatto con la realtà, che non sia la televisione. Mario ed il nano sono due “diversi” che accettano di convivere pur sopportandosi a fatica..
Tra i due si instaura una sorta di solidarietà tra “diversi”, una reciproca dipendenza?
Sì, è una forma di benevolenza, di parentela nascosta, forse…
Riconsiderando il rapporto tra le opere pittoriche ed il video, la storia di Mario Banana potrebbe essere una delle versioni possibili rispetto alle immagini “congelate” dei dipinti?
E’ una delle tantissime possibilità, è sempre un lavoro aperto. Il video nasce dopo le opere pittoriche che lo accompagnano. Il video è solo una delle storie possibili, una delle ipotesi di lettura di cui prima ti parlavo… questa scimmia potrebbe anche non essere Mario Banana, se io non avessi presentato il video insieme a queste opere pittoriche non saresti portata a collegare le due figure. La scimmia del dipinto come quella del video, presentate
Per i tuoi dipinti parli di sceneggiature possibili…è come se applicassi alla pittura l’estetica del cinema…
Il cinema ha influenzato la mia visione delle cose, i miei dipinti sono come delle inquadrature, o meglio una sorta di non inquadrature. Mi affascina il cinema Dogma, l’idea di essere fuori dalle regole pur avendo delle regole. In particolare Julien Donkey Boy di Harmony Korine è per me un film fondamentale. Il cinema Dogma, la fotografia stessa hanno influenzato il mio modo di vedere le cose, anche se disegno un paesaggio di mia invenzione mi viene naturale disegnarlo in un’inquadratura dal taglio fotografico.
Tecnicamente qual è l’evoluzione che vorresti?
Rispetto alla pittura ho un approccio iperrealista ma non ne sono pienamente soddisfatto, la lentezza dell’esecuzione non riesce a rispondere alla velocità delle mie idee, sto cercando di andare verso una soluzione pittorica ancora più sgranata, in cui i contorni delle immagini risultino come lascivi, vorrei che il colore navigasse più libero sulla superficie.
La tecnica che adesso uso mi permette già di ottenere in un certo senso una pittura autonoma, che sembra crearsi da sola, la mia pennellata è estremamente netta, è l’acqua che fa il resto creando aloni, sfocature, sfumature.
Quello che vorrei superare è un iperrealismo inutile, ottenere una pittura più libera, meno imprigionata dal disegno, molto più traboccante. Vorrei riuscire a materializzare nella pittura quello che è il processo mentale del mio lavoro, che è estremamente aperto…come un principio di espansione infinito.
Bio
Luigi Presicce nasce a Porto Cesareo (LE) nel 1976. Si diploma presso il Liceo Artistico di Lecce e frequenta l’Accademia di Belle Arti. Partecipa a video rassegne: nel 1998 Extraschermo al Link di Bologna e Videominuto al Museo Pecci di Prato, nel 2002 Video Corner al Teatro Kismet OperA di Bari e Future Visioni al Museo Provinciale di Potenza. Prende parte a collettive come Neoiconica allo Studio d’Arte Cannaviello di Milano, Morbi “Porto insicuro” alla Mole Vanvitelliana di Ancona, Una Babele Postmoderna a Palazzo Pigorini di Parma e Nuova Pittura Europea alla Galleria A@O + Cannaviello di Berlino.
Nel 2002 realizza due personali dal titolo Philophobia. Una presso lo Studio d’Arte Cannaviello curata da G. Del Vecchio e A. G. Pinketts; l’altra presso la Galleria Nicola Ricci Arte Contemporanea di Pietrasanta (LU) a cura di L. Beatrice.
Nello stesso anno espone presso lo Studio Ercolani, in una mostra personale dal titolo Introverso a cura di F. Naldi. Attualmente sta lavorando al progetto di una mostra personale alla Iseyoshi Gallery di Tokyo. Vive e lavora a Milano.
link correlati
societas Raffaello Sanzio
Teatro della Valdoca
Motus
<a href=http://www.angelfire.com/ab/harmonykorine/Harmony Korine
Julien Donkey Boy
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Complimenti per l'intervista, le domande sono molto precise e utili per comprendere il lavoro dell'artista. sono andato a vedetre l'esposizione e sono rimasto veramente soddisfatto. grazie
Grazie a te Pedro per questo commento. Per capire i lavori di Presicce ci vuole una grande sensibilità...al giorno d'oggi una dote sempre più rara.
Immagini molto forti quelle di Philophobia,
ma che denotano una ricerca introspettiva
dell'artista piuttosto rara al giorno d'oggi.