Un artista-ingegnere… Non potevi fare l’ingegnere e basta?
Il risultato dei test attitudinali per la scelta della scuola superiore fu curioso: mi dissero che avrei dovuto frequentare o un istituto d’arte oppure un istituto tecnico. Proprio per questo sospettarono che il test fosse stato compilato a caso, oppure in modo scorretto. A quel punto mi decisi per l’arte. Questa storia del test penso mi abbia influenzato parecchio: da quel momento ho cominciato a voler dimostrare che non avevo sbagliato, che il fare “arte”, quindi dare forma ad un’idea, non doveva avvenire per forza attraverso una matita o uno striminzito tubetto di colore (come scoprii qualcun altro prima di me aveva dimostrato), ma anche costruendo o mescolando oggetti e macchinari. La fortuna è che a qualcuno le mie cose interessavano!
Adesso come va?
Mi sto dedicando a tempo pieno alla mia ricerca. Qualche volta devo fare qualche lavoretto extra, giusto per tamponare la mia disastrosa situazione economica. Fortunatamente in questi anni ho imparato a fare molti lavori che mi tornano utili, oltre che come risorsa finanziaria, anche per la mia ricerca.
La tua formazione?
Ho frequentato l’istituto d’arte di Udine. Poi l’Accademia di Venezia, che ho terminato nel 2005. Da autodidatta ho imparato a lavorare con l’energia elettrica e la meccanica. E ho in programma anche un corso di inglese.
Artisti di riferimento?
Un nome su tutti: Nikola Tesla.
Ma non era uno scienziato?
Sì, dunque un ricercatore. Ha speso un sacco di energie, fatto parecchie scoperte non attribuitegli. Una vita a rincorrere un sogno finita in miseria, un destino che lo accomuna a molti artisti.
Solo Tesla?
Anche Yves Klein, Piero Manzoni, Panamarenko e Tom Friedman.
Mai provato ad etichettare in qualche modo il tuo lavoro?
Descrivere quello che faccio mi è sempre difficile e, oltretutto, mi imbarazza molto. Quando devo farlo di solito mi attengo ad una descrizione funzionale.
Vai pure…
Diciamo che quello che faccio è tentare di materializzare delle sensazioni, dei concetti, usando degli oggetti comuni e variandone la funzione, o costruendo dei macchinari con delle funzioni improbabili. Cerco di creare un cortocircuito tra quello che si conosce e quello che non si conosce, il tutto arricchito da un po’ ironia.
Ti piace vendere il tuo lavoro?
Per adesso non ho un rapporto diretto con la vendita. Però direi di sì, quando qualcuno mi ha venduto un lavoro mi sono trovato bene.
E ti piace che venga interpretato? C’è un critico che lo segue con particolare attenzione?
Il mio lavoro è di facile comprensione, non è poi tanto difficile da approcciare. Può accadere che a qualcuno non piaccia, ma non che non l’abbia “capito”. Con i critici e con la stampa ho un rapporto abbastanza informale, per fortuna. Ci si da velocemente del tu e di conseguenza si capisce se sarà un rapporto duraturo o meno. Ultimamente si è instaurato un buon feeling con Sarah Cosulich Canarutto.
Che tipo sei? Tanti pregi o troppi difetti?
Non sono bravo nelle pubbliche relazioni. Un pregio è la chiarezza: penso di essere abbastanza chiaro nel mio lavoro, credo di riuscire a comunicare il mio pensiero. Ma forse sbaglio, forse conviene essere un po’ ermetici. Nella vita ho il pregio ed il difetto di essere buono.
Che rapporto hai col luogo in cui lavori? Parlaci del tuo studio…
Accumulo materiali, oggetti esteticamente piacevoli e macchinari. Mi piacerebbe avere uno studio come si deve. Per ora progetto e assemblo i miei lavori nel garage di mia nonna. Sono in trattative per affittare un capannone.
In Italia ci sono più artisti bravi o più artisti sopravvalutati?
La storia farà il suo corso. Non credo esistano dei sopravvalutati, ma dei paraculati.
Tu vuoi ringraziare qualcuno?
Tutti quelli che mi stanno vicino, che credono in quello che faccio e di conseguenza mi sopportano/supportano. Per esempio Federico Maddalozzo e il gruppo Cosmesi. Poi tutti quegli artigiani, commercianti e costruttori che mi danno retta con un sacco di pazienza.
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