Categorie: parola d'artista

exibinterviste | la giovane arte – Nicola Carignani

di - 21 Febbraio 2003

Sei giovanissimo eppure hai già all’attivo un discreto numero di esposizioni ed un curriculum importante. Parlami della tua formazione.
Ho avuto una lunga formazione fotografica. Tre anni a Firenze allo Studio Marangoni ed un corso di specializzazione a Londra, al London College of Printing. In questi anni di studio si è sviluppato il mio interesse per l’arte contemporanea ed ho avuto occasione di conoscere alcuni curatori che mi hanno invitato a partecipare a diverse iniziative.

A quali artisti ti senti più vicino?
Non mi sento vicino a nessun artista in particolare, anche se sento influenze delle più svariate: il sarcasmo disarmante di Martin Parr e quello visionario di Olaf Breuning, l’ironia critica di Christian Jankowski, gli incubi di Damien Hirst, gli “Untitled film stills” di Cindy Sherman, i ritratti di Richard Avedon…

Sei anche noto come art director della rivista Boiler.
Si, buona parte delle mie energie e del mio tempo sono dedicati a questo progetto, che sta crescendo e riscuotendo un ottimo successo. Non saprei da dove cominciare a parlarti di Boiler, vi invito semplicemente a vederlo.

Nei tuoi lavori sia video che fotografici, l’alienazione è una componente importante…
L’alienazione è soltanto il risultato di una lunga e concatenata serie di dinamiche sociali e psicologiche sulle quali riflettere: durante la realizzazione del video e delle fotografie ho incontrato rabbia, leggerezza, incoscienza, insensatezza, disperazione…

Tu stesso sei uno skater, com’è stato indagare le dinamiche di un gruppo del quale fai parte?
È stato estremamente naturale essendo lo skate una scena che conosco fin dall’adolescenza, ma in quest’ occasione ho avuto modo di vederne l’estremizzazione: i ragazzi che ho conosciuto e fotografato hanno subito (o si sono inflitti) degli infortuni veramente gravi con lo skate. Traumi cranici e lesioni agli organi genitali non hanno loro impedito di continuare… le frasi che hanno pronunciato in macchina durante una giornata di pioggia passata cercando invano un buon posto per skateare sono state molto importanti per la mia ricerca, e sono trascritte a mano sui muri della galleria.

Quelle frasi erano molto forti, ne emergeva una chiara tendenza autolesionista. L’ultimo film di Larry Clark inizia con il suicidio di un giovanissimo skater al bordo di una pista, il farsi del male sullo skate nella logica del branco si trasforma in un atto eroico… qual è la storia che ti ha più colpito?
All’interno di un gruppo di skater, come di snowboarder, il migliore è quello che osa di più, quello che si fa più male. Lo stesso succede a livello agonistico: vince chi vola più in alto, e più in alto voli più duro è l’atterraggio, se sbagli. Non conosco nessun bravo skater o snowboarder che non abbia avuto degli infortuni gravi o quantomeno un rispettabile numero di fratture o lesioni ai legamenti. La storia che mi ha colpito di più è quella di Elia: è caduto a gambe aperte su un passamano e si è squarciato i testicoli… Per vari mesi ha tremato ogni volta che ha visto una tavola, poi ha ricominciato. Dopo qualche mese è caduto di testa ed ha avuto un forte trauma cranico. E ancora va in skate.

Nella tua produzione artistica la fotografia resta una costante. La prediligerai anche in futuro rispetto ad altri mezzi espressivi?
Ho avuto una lunga formazione fotografica ed ho sempre amato l’immediatezza e la versatilità di questo mezzo, anche se non mi precludo affatto la possibilità di utilizzare qualsiasi altro media.

Intermission era il tuo primo video?
Intermission è stato in effetti il mio primo video, ed in questa mostra (Steal and Burn, ndr) ho inserito per la prima volta anche degli elementi grafici, testuali ed installativi… per il tipo di ricerca che intendo portare avanti ho bisogno di tutto questo.

Nelle foto della serie Epiphany cali la tua identità all’interno di scenari fittizi e stereotipati creando un cortocircuito tra realtà e finzione, ironico ed al tempo stesso straniante. Al Centre culturel Francais di Torino hai scattato delle foto ad alcune persone presenti all’inaugurazione, poi, rielaborando l’immagine al computer, lasciavi scegliere ad ognuno lo sfondo entro cui collocarsi.
Si, uno dei pensieri che mi ha guidato nella serie Epiphany è stato quello che i luoghi reali e quelli “virtuali” possono avere la stessa importanza all’interno della memoria e del vissuto dell’uomo moderno, mediadipendente… una scena di un film che hai visto può avere per te la stessa importanza emotiva di un luogo fisico in cui è successo qualcosa di importante per la tua vita. Devo dire che a quel tempo ero ancora ossessionato dai confini tra la realtà, la finzione e la fantasia. Trovo che Arizona (una delle immagini di Epiphany illustri perfettamente questa sensazione: io sono ritratto con un’espressione smarrita in un paesaggio desertico apparentemente surreale e sulla mia felpa, contraddittoriamente, c’è scritto REAL (nota: marca di tavole da skate…). Il progetto presentato a Torino propone lo stesso concetto, ma con una modalità ripresa e riadattata dall’opera Esposizione in tempo reale di Franco Vaccari che fu presentata alla Biennale di Venezia del 1972. E’ stato un esperimento molto interessante, ideato appunto durante uno workshop tenuto dal Vaccari.

TV, pubblicità, videoclip hanno condizionato il nostro modo di pensare, rendendo sempre più debole il confine tra realtà e finzione. Pensando alle opere in cui prelevi, da contesti diversi, immagini reali e virtuali accostandole, la sensazione è quasi quella di osservare una realtà che cerca di emulare la finzione…
E’ vero. Il mio intento era proprio quello di smascherare questo processo perverso… sentivo il bisogno di rielaborare, criticare ed analizzare l’indigestione mediatica cui sono stato sottoposto fin dall’infanzia, l’ alterazione della percezione della realtà che essa produce, le modifiche che spesso apporta alla personalità, i modelli che impone… Ma questo è già stato fatto. Adesso la mia attenzione si è spostata sull’indagine di alcune realtà…

bio
Nicola Carignani è nato a Pietrasanta (Lu) nel 1978. Si è diplomato in fotografia al London College of Printing di Londra e alla Fondazione Studio Marangoni di Firenze. È fondatore e direttore artistico della rivista di cultura contemporanea Boiler. Vive e lavora a Milano.
Mostre principali: 2002 Brand New Bohemians , La Casa dell’Arte, Rosignano Marittimo (LI) (a cura di Chiara Leoni); Via satellite , Mercati traianei, Roma (a cura di Alessandra Galletta) 2001 Centre Culturel Français, Torino (a cura di a.titolo e Franco Vaccari) 2000 Les traisons du modèle , Chapelle du Rahm, Lussemburgo (a cura di Paul de Felice): Elective Affinities , Big Torino, Torino (a cura di Nicoletta Leonardi) 1999 Shift , Studio Ercolani, Bologna (a cura di Chiara Leoni); Entropia , Spaziotempo, Firenze (a cura di Matteo Chini); Multiple Vision , Taranto Gallery, New York (a cura di Nicoletta Leonardi) / Clone Media Gallery, Londra.

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Steal And Burn, ultima personale di Nicola Carignani allo Studio Ercolani di Bologna
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Boiler

francesca pagliuca

exibinterviste-la giovane arte è un progetto editoriale a cura di paola capata

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  • fa veramente piacere leggere le risposte di questo giovane bravo artista. mi ha incuriosito moltissimo. posso vedere un sito correlato?

  • Molto interessante il lavoro di questo giovane artista: spero di trovare altri approfondimenti. Mi sembra suggestiva la linea di congiunzione con Franco Vaccari.
    Merito delle domande, credo, se è venuta fuori: complimenti a Francesca Pagliuca.

  • Arte dove? Curriculum 'importante' quale? E l'alienazione sarebbe?
    Soliti mezzucci paratrasgressivi. Le parole sono importanti,e chi parla male pensa male.

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