Categorie: parola d'artista

exibinterviste – la giovane arte | Nicola Gobbetto

di - 20 Ottobre 2006

Iniziamo parlando delle tue mostre?
Ognuna mi ha lasciato qualcosa. Ma la più importante è stata la personale napoletana (Shapeless shape, galleria Fonti). Per mesi ho lavorato a quel progetto. La sera dell’inaugurazione ero calmo e sereno, proprio perché tutto era perfetto!

E le collettive?
Citerei Cortocircuito (2005) a Novara, curata da Marco Tagliaferro. Poi, la mostra itinerante Thin Line (2005) a cura di Milovan Farronato. E la recente Metaphysics of youth/Fuoriuso a Pescara, curata da Irina Zucca Alessandrelli e Luigi Fassi. Una mostra molto coraggiosa, quest’ultima. Con circa trenta artisti provenienti prevalentemente da Stati Uniti e nord Europa, in un location strepitosa (un mercato ortofrutticolo abbandonato in riva al mare). Ero uno dei pochi italiani. Curiosa situazione: giocavo in casa e mi sentivo il pesce fuor d’acqua.

Il tuo lavoro ce lo presenti?
La mia è una ricerca sul movimento e sul divenire. Mi capita spesso di lavorare con materiali liquidi, organici. Amo la videoarte per questo, perché è immagine in movimento. Sono affascinato dalla trasformazione e dalla metamorfosi, dai sentimenti emotivi connessi ai cambi di stagione. Amo i contrasti.

Subito artista?
Da piccolo ero tutto carta e pennarelli. Disegnavo ovunque, anche durante i viaggi in macchina. Ero “quello che disegna bene”, quello dei fumetti del giornalino della scuola. Hai presente? La mia famiglia mi ha sempre assecondato, forse perché mia madre avrebbe voluto fare ciò che sto facendo io. Ho anche avuto ottimi insegnanti, che mi hanno trasmesso un po’ di sana passione. E ho anche fatto l’Accademia di Belle arti a Brera. Però…

C’è un però?
Ai tempi il mio pallino era un altro, devo confessartelo.

E quale?
Diventare “vj di mtv”.

Ah sì?
Credo facesse gola un po’ a tutti entrare “in quel mondo perfetto ed essere manovrato come una marionetta”! Ne parlavo continuamente. Ho passato il primo provino, ho passato il secondo… Per fortuna mi hanno aperto gli occhi, a Brera. Ed ecco la prima collettiva a Genova, quando ero ancora al primo anno.

La tua formazione?
Dalle suore e dai preti fino ai 19 anni. Formazione rigida e cattolica. Penso sia importante credere in qualcosa durante l’infanzia e l’adolescenza. Indipendentemente dal fatto che poi quel qualcosa diventi o meno “la tua” religione. Nel mio caso è servito a sviluppare una visione tutta personale sulla vita e sulle forze che ci sono superiori.

Chi ti ha influenzato?
L’arte visiva, ovviamente. Ma anche il cinema, la moda, il design, i videogiochi e i videoclip degli anni ’80. Due film che mi hanno molto ispirato sono Picnic a Hanging Rock (1975) di Peter Weir e Welcome to the dollhouse (1996) di Todd Solondz. Nella moda, Martin Margiela: più un artista/designer che il classico stilista. In arte direi il Romanticismo, l’Espressionismo e il Futurismo. Tra i contemporanei: Tom Friedman, Simon Starling, Ian Kiaer, Stefano Arienti, Arturo Herrera, Thomas Demand, Wolfgang Tillmans, Olafur Eliasson, Pierre Huyghe…

Un tuo autoritratto a parole?
Mi ritengo una persona “elastica”. Sono corretto, educato, meticoloso, perfezionista. A volte troppo timido ed emotivo. Ipersensibile, credo. Arrossisco facilmente. Non so come spiegarlo: a volte ho paura di mettere a disagio il mio interlocutore.

E nella vita?
Disordinato, festaiolo.

Come la vedi la politica, nel 2006?
Ci vorrebbero personalità più forti! Io penso che prima di finire in politica tutti dovrebbero fare qualcosa di sconvolgente. E poi inserire tra i programmi politici qualcosa che stona. Come Cicciolina: candidata a sindaco di Monza, voleva aprire Disneyland a Milano!

Una persona che senti di dover ringraziare?
Il mio gallerista [Giangi Fonti, ndr]. Ci sentiamo ogni tre o quattro giorni. Tra gli artisti ho pochi amici. Molti di più tra i curatori, gli assistenti di galleria e i giornalisti, italiani e stranieri. Con loro ci vediamo, usciamo a cena, parliamo spesso di “tv spazzatura”. O li invito alle mie feste.

Contento delle cose che leggi sul tuo conto?
Sì, sono contento. I primi tempi temevo di essere frainteso. Ho cominciato lavorando sui simboli legati alle fiabe dei Grimm e di Perrault. Una ricerca che voleva andare oltre gli stereotipi. Chi ha sempre letto molto bene il mio lavoro è Milovan Farronato. Sono soddisfatto anche dei pezzi scritti da Stella Cervasio, Francesco Galdieri e Marianna Agliottone. Cerco sempre di incontrare di persona il critico, per sottopormi dal vivo alla radiografia.

Che rapporto hai col luogo in cui lavori?
A dire il vero non ho ancora uno studio… Ho una casa-studio. Ma è decisamente più casa che studio. Lavoro spesso in situ, o con il mio computer. L’idea dello studio mi pare démodé, un po’ come i biglietti da visita!

E Milano, la città in cui vivi?
Credo influisca parecchio. Milano è una città viva ma anche piccola. Confortevole, a portata di mano. Ho trovato persone che mi hanno fatto maturare precipitosamente. Odio la pigrizia, sono sempre in giro. Ho dovuto cambiare indirizzo email: avevo raggiunto i duecento contatti nella rubrica!

Allora resti in Italia. O no?
Mi piacerebbe trasferirmi qualche mese a New York. Berlino no, è più conveniente ma ormai un po’ inflazionata. E poi ho scoperto di trovarmi molto bene con gli americani, eterni bambinoni che sanno anche prendersi meno sul serio.

exibinterviste – la giovane arte è un progetto a cura di pericle guaglianone

bio: Nicola Gobbetto nasce a Milano nel 1980, dove vive. Tra le mostre personali: Shapeless shape, Galleria Fonti, Napoli, Napoli, 2006; Ice Dream, neonprojectbox, Milano, 2004. Tra le collettive: Ellen de Bruijne Projects, Amsterdam, Cortocircuito; Ex PalazzoEnel, Novara (2006); Thin Line: the exhibition, the movie!!, De Ijskelders & Nadine art centre, Bruxelles; Report, Villa delle Rose, Bologna; Our Nature, Villa Serena, Bologna; Thin Line, galleria Viafarini, Milano (2005);neonprojectbox>extended, Bologna; Pilot, Limehouse, Town Hall, London (2004).

[exibart]



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