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exibinterviste – la giovane arte Paolo Grassino
parola d'artista
Animali (e non solo) che parlano agli uomini. Degli uomini. E’ la scultura di Paolo Grassino. Che dice la sua su critici e galleristi. E sul fatto che l’Italia debba darsi una svegliata. Sullo sfondo dei suoi “temi perenni”...
Da dove viene Paolo Grassino? Come si diventa artisti?
Mio padre ha dipinto per trent’anni. Io sono cresciuto con le sue “lezioni”. Insieme passavamo giornate silenziose e piacevoli; lui era dolce e severo come devono essere i maestri.
Cosa ti ha insegnato?
Prima di tutto, a collegare il cervello alle mani. Poi, crescendo, si è creata tra noi una certa distanza, fino ad una sorta di rifiuto, da parte mia. Anche rispetto a quello che faceva. Dopo qualche anno, però, Luigi Mainolfi mi ha fatto “rientrare” con rinnovato entusiasmo. In quel momento divideva lo studio con Gilberto Zorio, e il grado di geniale follia all’interno del loro studio -una sorta di bottega rinascimentale– era al massimo.
Di che periodo stai parlando?
Erano gli anni ’80. A quei tempi tutto era al massimo, si produceva molto e gli artisti avevano bisogno di forza lavoro. Né il liceo né l’accademia mi hanno dato tanto. Quello studio dopo qualche anno è diventato “nostro”, di noi assistenti, e cioè di Saverio Todaro, Luisa Rabbia, Mimmo Borrelli. E poi di Enrico Iuliano e Francesco Lauretta.
Cosa racconta il tuo lavoro?
Credo che le “tematiche” dell’arte siano sempre le stesse, che ci siano solo dei leggeri spostamenti –a volte quasi impercettibili– anche tra un artista e l’altro e, persino, tra un tempo e l’altro. In ciò credo fortemente, tanto è vero che il titolo della mia prima personale, Temi perenni, stava a sottolineare proprio questo. L’immutabilità della sorte umana, il gioco terrificante ma naturale tra la preda e il predatore, la regola dominante tra lo sguardo della vittima e le fauci del carnefice, il disgregarsi del fare umano nel tempo. Niente di “nuovo”, forse. Ma per me l’arte non può essere solo “novità”, né un “intimismo concettuale” intellettualmente troppo elitario. Preferisco l’arte che “avvicina”.
Pregi e difetti, in due parole.
Sicuramente fare scultura oggi non è proprio quello che chiedono la critica e il mercato. Farla in dimensioni non sempre “domestiche”, per giunta, secondo qualcuno è addirittura un difetto. Luca Beatrice qualche tempo fa mi ha detto che la scultura è troppo “lenta” in un mondo così “veloce”. Un’osservazione acuta, ma io non so fare altro. E allora mi tengo il difetto che ho.
Una persona davvero importante attualmente per il tuo lavoro?
Gli amici. In questi giorni sto lavorando ad un progetto per Palazzo Bricherasio, un lavoro che si articola sulla facciata dell’edificio e che, quindi, sarà in relazione anche con la città e i suoi cambiamenti. Per realizzarlo ho bisogno di “loro”, che sono tutti bravi professionisti: ci sono Roberto Fioccardi e Filippo di Giovanni, che si occupano d’allestimenti sia al Castello di Rivoli, che alla Gam, che alla Fondazione Prada. Poi c’è Otto Volterrrani, un eccellente fonico che con quattro cose riesce a far risuonare una piazza. Infine Stefano Danusso, un vero maestro del suono elettronico. Si tratta di figure fondamentali, con loro mi sento tranquillo: il risultato sarà così come l’ho pensato.
Parliamo di galleristi. Come vivi il rapporto con chi si occupa di promuovere quello che fai?
Bene. Ho incontrato persone che con gli anni sono diventate anche amiche e confidenti. Compito del gallerista è anche questo, farti sentire rispettato e difeso. D’altronde è nell’interesse comune. Poi non realizzo così tanti lavori da creare chissà quale mercato, forse già questo è un modo per non cadere in facili speculazioni da parte di altri. E’ già molto importante per ora sopravvivere con quello che faccio. E’ una meta che mi ero prefissato e che, anche grazie all’interesse di Persano nei miei confronti, si sta realizzando. Da un anno, poi, lavoro con la VM 21 di Roma. Micol e Maurizio sono miei coetanei, e quindi il rapporto con loro è forse più “vicino” e tutto da costruire.
E quello che si scrive di te? Che rapporto hai con i critici e con la stampa?
Solo da poco tempo m’interessa realmente. Non gli ho dato mai troppo peso, forse perché ciò che leggevo mi lasciava per lo più indifferente. La prima persona con cui sono riuscito a comunicare veramente è Elena Volpato, lucida e fine come i vetri che porta sul naso. Da poco più di un anno ho rapporti d’amicizia e lavorativi con Norma Mangione e Alberto Zanchetta, sorprendenti per il loro entusiasmo e professionalità: una vera boccata d’aria fresca. Tra quelli che hanno interpretato meglio il mio lavoro c’è Giuseppe Culicchia, che in dieci righe ironiche e dissacranti mi ha fatto vedere altre possibilità.
Qual è la mostra più bella che hai fatto?
La più bella è quella che farò. L’anno scorso mi è stata data la possibilità di realizzare una mostra all’interno di una fabbrica in disuso da trent’anni. Uno spazio di 5000 m2 che la natura ha fatto nuovamente suo. Ecco, quella era una situazione ideale per i miei lavori. Là molte cose mi sono diventate più chiare e definite, sono riuscito a vedere tre anni di lavori (che poi erano sette lavori in tutto) che comunicavano tra loro ma anche con la struttura che li conteneva. L’evento è durato solo dieci giorni ma si è trattato di una piccola sfida.
Hai cambiato da poco il tuo studio…
Sì. Ora è in un parco della città vicino al cimitero monumentale, in un posto molto tranquillo ma a dieci minuti dal centro. Non so ancora come mi troverò.
Torino quanto influisce nel tuo lavoro? Mai pensato di andartene?
Torino è una buona base. Non mi sembra che ci sia bisogno di andare a lavorare chissà dove per avere stimoli maggiori. Questa è un po’ una mentalità provinciale. Non è che se ti trasferisci a New York o chissà dove, diventi più bravo o cosa. Sicuramente in alcuni luoghi ci sono più possibilità, ma queste il più delle volte sono per chi c’è nato e cresciuto. C’è questa tendenza a scappare, ultimamente. Ma bisogna partire con “qualcosa”, altrimenti ti ritrovi a fare il cameriere in qualche fast food. New York non fa certo male, per un breve periodo, ma ho trovato più interessanti luoghi come il Canada, la California, l’Africa e ultimamente l’India, dove da qualche tempo passo un buon mese e mezzo all’anno. Poi, si vedrà…
Fuori i nomi: chi pensi possa farcela, oggi, in Italia?
Non per essere pessimista, però mi sa tanto che non ce la farà quasi nessuno. E’ molto brutto ciò che sta capitando, il nostro Paese promuove poco la sua arte, non la difende, non la usa come “bandiera”. Escludere o quasi dalle grandi manifestazioni internazionali l’arte italiana è come darsi la zappa sui piedi. Ci trasformeremo in una colonia sopraffatta da nazioni più potenti. In questo senso si sta facendo molto di più attraverso iniziative private. Temo che in pochissimi potranno emergere, e quei pochi saranno troppo deboli per “resistere”. Spero sinceramente di sbagliarmi.
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Personale di Grassino a Firenze
A Roma, da VM21
la rubrica ‘exibinterviste’ è a cura di pericle guaglianone
bio: Paolo Grassino è nato nel 1967 a Torino, dove vive. Personali: Armilla, Palazzo Bricherasio,Torino; Underworld, Patrizia Pepe, Capalle (Firenze) (2005); Paolo Grassino – Meccaniche della meraviglia II, Mulino di Gavardo (Brescia) (cat.); Senza nome, V.M. 21, Roma; Fresh kills, Galleria Giorgio Persano, Art Athina, Athens; Fresh kills, Galleria Giorgio Persano in collaborazione con Città di Torino – Settore Periferie e Zucca Architettura nell’ex Fabbrica Nebiolo, Torino (cat.) (2004); Mimetico, Galería Fucares, Madrid (cat.); Ossa Rotte, Ornato di te, Torino (2003); Galleria Giorgio Persano, Torino (cat.); Culicchia – Grassino, un lavoro: un’opera, già Via Nuova per l’Arte contemporanea, Firenze (2002). Tra le collettive: Il paesaggio Italiano contemporaneo, Palazzo Ducale, Gubbio; Domicile, Musée d’Art Moderne de Saint-Etienne Metropole (cat.); Defrag, derive plastiche, Fabbrica del Vapore, Milano (cat.); Genius Loci, Castello di Racconigi (Cuneo) (cat.) (2005); La morte ti fa bella, Galleria San Salvatore Arte Contemporanea, Modena (2004); Pop and more, Luckman Gallery, Los Angeles; Frederick R. Weisman Art Foundation Collection, New Orleans Museum of Art, New Orleans; Caput Vertiginis, Galleria Alberto Weber, Torino (cat.); Eco e narciso, Villaggio operaio Leumann, Collegno; Ecomuseo Feltrficio Crumire, Villar Pellice (cat.); Moltiplicato tre, Villa Capriglio, Torino (cat.) (2003).
[exibart]
non-caro grassino,
vediamo di smetterla con questo piagnisteo continuo!!! tu fai parte della schiera dei faenza, dei sottsass, e di tutti i … che si sono lamentati per l’esclusione dell’italia dalla biennale. ma ben vengano le esclusioni, se il massimo che un paese riesce a produrre è il trailer pulitino e tristolino e miserabile di vezzoli!! ma la vogliamo finire: non c’è nessun patto -istituzionale o culturale- che garantisca la sopravvivenza di una generazione artistica se questa è debole, disinformata (per non dire ignorante, ma lo diciamo lo stesso). come se gli unici festival e le uniche biennali fossero a venezia! ma cristo santo, c’è un mondo là fuori e vi state sempre a lamentare che questa è una palude. la verità è una sola: che avete paura di affrontare voi stessi e la realtà. bravi, continuate così: ne farete di strada, bambini (come diceva la pubblictà della chicco).
ho visto la tua installazione nello spazio espositivo di patrizia pepe nei pressi di firenze, e sono rimasta incantata dalla poesia della tua arte.
sono molto fiduciosa del futuro che avrà l’arte italiana nel mondo e anche nel nostro paese, e credo che un pizzico di ottimismo in più non nuoca nessuno, anzi, servirebbe a rischiarire questo orizzonte cupo che per anni siamo stati abituati a guardare.
sinceramente i miei più sinceri complimenti.