Quanto conta il computer in quello che fai?
In effetti il mio notebook è un po’ il mio studio. In questo senso ho scelto di arredarlo lasciando la visualizzazione del desktop classic. Il che vuol dire meno orpelli, più austerità. Con quello sfondo di un bell’azzurro carta da zucchero che fa tanto Berlino Est (che poi è dove vivo).
La tua formazione?
Il liceo, poi l’università (architettura) e l’accademia di Brera a Milano.
Artista fin da piccolo?
Probabilmente decisi di iscrivermi al liceo artistico (scelta che forse oggi non rifarei) proprio perché da bambino smontavo in mille pezzi i miei giocattoli. Sono stato sempre incuriosito dai meccanismi che stanno dietro alla forma delle cose.
Chi ti ha influenzato?
Le avanguardie storiche e il Bauhaus sono il punto di partenza. Poi ci sono il minimalismo e la pop art. E alcune cose dell’arte povera (il primo periodo) e del design italiano. Tra gli artisti che ho amato un intoccabile rimane Andy Warhol.
Cosa interroghi con la tua ricerca?
Architettura e arte, la loro difficile convivenza/coesistenza. Lo spazio, l’ambiente e le logiche produttive sono temi che, purché abbiano a che fare col problema della forma, mi interessano molto. Più che dall’aspetto relazionale, sono incuriosito dalle logiche produttive e anzi postproduttive. Da tempo lavoro ai Tatami, superfici (dei display) che io utilizzo talvolta per presentare il lavoro altrui.
Un artista deve saper parlare del proprio lavoro?
Penso di sì. Perché un lavoro possa essere correttamente avvicinato credo sia giusto parlarne, offrire appigli. Senza aver paura dell’interpretazione che verrà. Rispetto molto il ruolo della critica: scrivere sull’arte (specialmente su quella contemporanea) penso sia un lavoro indispensabile.
E nel tuo caso quali interpretazioni vuoi citare?
In Italia ci sono delle persone che si sono interessate al mio lavoro prima di altre. Per questa ragione il loro contributo è stato più preciso. Penso a Barbara Casavecchia e a Luca Cerizza. Vere e proprie cantonate, per mia fortuna, non ce ne sono ancora state.
Cosa significa la parola “politica”?
Crescere, non arroccarsi sulle proprie convinzioni, confrontarsi con gli altri, mettersi in discussione. Muoversi. Quando si sta facendo qualcosa domandarsi sempre se ce n’è davvero bisogno. Preoccuparsi anche degli altri.
Pregi e difetti?
Una certa capacità critica credo sia uno dei miei pregi. Quando si tratta di prendere decisioni in tempi ristretti questa può risultare un difetto.
Una persona che vuoi menzionare?
Bruno Munari. È una specie di Yoda per me.
E una tua mostra?
Dojo. Una collettiva curata da Luca Cerizza in via Ventura a Milano. C’era una bella atmosfera. Poi stimo molto il lavoro delle persone coinvolte: Massimiliano Buvoli, Christian Frosi, Massimo Grimaldi, Davide Minuti e Patrick Tuttofuoco. Artisti che stanno dimostrando di avere delle chance anche a livello internazionale.
la rubrica exibinterviste – la giovane arte è a cura di pericle guaglianone
bio: Riccardo Previdi è nato a Milano nel ’74; vive a Berlino e Milano. Tra le personali: Present Future, Artissima, Galleria Massimo Minini, Torino (2003); Gemine Muse, Castello Sforzesco, Milano (2002); Joint!, Università Bocconi, Milano (2001). Tra le collettive: Dojo, Mika Moka, Milano; Light LAB, Museion, Bolzano (2005); Tra-Monti 04, Quartiere Monti, Roma; Paul Morphy, the best American Chess Player, Galleria Sonia Rosso, Torino (2004); Private Architectures, Galleria Continua, S. Gimignano; Interferenze Urbane, Europalia, Bruxelles; Prototipi.02, Fondazione Olivetti, Roma (2003); Exit, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino; Fuzzy, Galleria Massimo Minini, Brescia (2002); Emporio, Spazio Viafarini, Milano (2001).
[exibart]
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Dear Mr. Previdi,
what do you exactly know about historical avantgarde, Bauhaus, Minimalism & Pop Art? The answer is. ABSOLUTELY NOTHING, except some superficial and ridiculous notions.
Good Night, and Good Luck.
L.S.