Iniziamo dal nome: come nasce Hardo Rockaz?
La mia tag da writer è sempre stata Zed; Hardo è subentrato in seguito come secondo nome. Rockaz è la crew fondata nel ’95, che si occupava soprattutto di musica, in collaborazione con un sound system storico – il Ghetto Youth Sound System – che organizzava eventi hip-hop, reggae, jungle nella Capitale. Nel ‘98 il gruppo si è sciolto e il progetto musicale è proseguito in uno spazio per suonare e registrare: il Rockaz Studio. Rockaz non è stata soltanto una crew: volevamo creare uno stile di vita, definendolo col il nostro nome di famiglia.
Le tue grafiche mostrano un taglio fumettistico, evidente nella composizione, nell’enfasi gestuale dei personaggi, nel cromatismo piatto e vibrante. Quanto ha influito questo genere sulla tua formazione artistica?
Il fumetto è alla base della mia ricerca, ancor prima dell’interesse per i graffiti. Schultz, Quino, Andrea Pazienza sono stati i miei modelli. Ho divorato le riviste AlterAlter, Il mago, Corto Maltese e gli almanacchi di Ranxerox. Vincenzo Sparagna e Filippo Scozzari, alla redazione della Primo Carnera Edizioni, mi hanno svelato le qualità artistiche di un buon fumettista. Al tempo stesso, ho fatto indigestione di Manga, come quasi tutti quelli della mia generazione.
Puoi parlarmi della tua esperienza di writer? Com’era la scena romana negli anni Novanta?
La notte di Natale dell‘88 ho realizzato il primo graffito: un’opera pessima, ma resistente alle intemperie! Nel ‘90-‘91 le incursioni urbane con il nome Zed (MOB-SDA-PAS) le facevo insieme a Mishar, mc Giaime (RTR – Ready To Rock!), Rude mc (RTR), Spike (MOB), Duke (RTR). Clown (MOB-Movement Of Bottom) era un writer eccezionale e i suoi pezzi sono ancora visibili sui muri di Roma. Allora, usavamo kenda color, marabu, duplicolor e trovare una krylon era come trovare l’oro; era un periodo pionieristico, in cui si disegnava con skinny e fat caps fatti artigianalmente. Spesso si rincasava dopo una notte passata in caserma e, a volte, qualcuno tornava anche con un buco di proiettile nella spalla…
Cosa pensi della street art attuale, in cui allo stile tipografico del writing old school è subentrata la tendenza ad un nuovo iconismo?
Mi interessa. Si ricollega alla tag come espressione dell’individuo. I writers già attaccavano adesivi con le loro tags preconfezionate. In seguito, hanno iniziato a serigrafare immagini sugli stickers e ad usare lo stencil: una specie d’icona personale da apporre ovunque.
A quali fonti t’ispiri per i tuoi soggetti?
E’ difficile dirlo, m’ispiro a piccoli flash e cose che immagino. Amo rappresentare in modo destrutturante soggetti che appartengono all’immaginario collettivo contemporaneo e della mia generazione. Mi piacciono i volti della gente perché li considero un’icona individuale, un logo, un marchio.
Stile: la parola magica di ogni street artist che si rispetti! Sapresti darmene una tua definizione?
Lo stile è la capacità di un artista di creare un riconoscimento visibile; è una linea che perdura nel suo percorso, nonostante le infinite variazioni. Lo stile è, anch’esso, una firma, che riflette la propria intimità.
Quali input spingono un artista a scegliere la strada come spazio creativo, al di fuori dei luoghi deputati?
E’ La voglia di comunicare qualcosa di cui non si ha ancora un’idea precisa; è un input adolescenziale che, nel tempo, matura e diventa costruttivo. I luoghi deputati uccidono la creatività, che avrebbe bisogno di stimoli continui e di forti emozioni.
Sono drastico: Roma è una città autolesionista. Avrebbe molto da offrire, ma insegue i dieci minuti che si perdono ogni mattina davanti al semaforo. E’ una città che vive il conflitto continuo tra la pietra millenaria e la lamiera delle automobili. A Roma, la vita è a tempo di traffico automobilistico.
Come concili la lunga militanza nell’underground con l’idea di fondare un tuo brand?
E’ un percorso fisiologico. Il brand è un modo di proteggere i miei lavori commerciali e spero che mi consenta di affrontare il mio precariato. L’idea del brand è di finanziare progetti artistici personali e collettivi, di promuovere e divulgare uno stile di vita creativo, anche se, per ora, è solo una visione.
Come t’immagini tra dieci anni: designer, fumettista, artista, o…imprenditore?
Credo che l’artista contemporaneo debba possedere una propensione al rischio e all’impresa. Perciò, senza fare progetti a lungo termine, mi vedo proiettato nel creare più relazioni possibili tra i diversi soggetti che operano in campo musicale, artistico, sociale. Se ciò significa essere imprenditore, resterò comunque un artista: con ogni mezzo necessario.
bioRockaz nasce a Roma negli anni ‘70. Dal 1988 è writer, skater, speaker radiofonico e rapper. Tra il ‘94 e il ‘98 promuove la musica hip-hop nell’ambito del “Ghetto Youth Promotion”. Studia animazione del disegno e fumetto. Nel 2002 crea il marchio Rockaz. Nel Settembre 2004 collabora con Roman Skateboards, Trvstever, Stilomatic, Vandalz Inside, Why Style per lo stand di Enzimi e disegna la t-shirt ufficiale del DjSet redazionale.
intervista a cura di maria egizia fiaschetti
*questa testata, come più volte sottolineato, è fortissimamente contrario a qualsiasi tipo di intervento non autorizzato lesivo del decoro pubblico, dell’ambiente urbano, della proprietà privata.
[exibart]
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bravo rockaz,mi piace tuo lavoro,conosco una persona che parte da altre esperienze per arrivare alle stesse risposte.si chiama FXXI,anche lui romano,è mio grande amico e penso sia bravo,come fare per contact rockaz?grazie ciao