Come hai iniziato il tuo percorso artistico? Perché la scelta di utilizzare la pittura?
Il mio percorso non è proprio iniziato con la pittura, in un passato più remoto facevo sculture, la scelta della pittura deriva dalla necessità di un approccio oggettuale non effimero, il dipingere mi aiuta ad ottenere un oggetto concreto e reale. Ho iniziato disegnando e di conseguenza il passo verso la pittura è stato brevissimo.
Nel tuo lavoro confluiscono diverse modalità, mi interessa soprattutto l’intervento con il punto a ricamo, con inserti iconici e sagome delicate…ti va di parlarne?
Il ricamo nel mio lavoro viene usato assolutamente e solo come segno, senza riferimenti al fare manuale della donna, come può essere per altri artisti. L’elemento ricamato mi interessa esclusivamente per il suo valore segnico, tanto quanto il tratto di una matita o di un pattern grafico. Il ricamo mi affascina più degli altri per il suo rilievo, rispetto al supporto bidimensionale, e perché contrassegna la parte dell’opera che
Realizzi direttamente questi inserti ricamati?
Si e tra l’altro non sono per niente precisi, spesso sono anche realizzati male, in modo intuitivo e impulsivo, non sono mai perfetti “punti croce” proprio perché mi interessa di più il tipo di segno che posso ottenere piuttosto che la precisione tecnica.
Ti sei confrontata con altri artisti come, per esempio Marina Bolmini, David Casini e Claudia Losi che in modi differenti assumono la tecnica del ricamo e in generale il ritorno ad una certa manualità operativa tipicamente femminile?
E’ molto diverso il mio approccio con il ricamo rispetto a questi artisti, forse mi sento più vicina a David Casini il cui lavoro mi piace molto. Anche per me non emerge nessuna intenzione relativa all’attività femminile, non ci sono rimandi al significato che il ricamo può assumere per Vezzoli o la Bolmini, ma vorrei distanziarmi da questa idea legata all’identità, anche se poi viene sempre collegata al fatto che sono donna e che ricamo. Per me il ricamo è soprattutto un mezzo decorativo.
Osservando i tuoi dipinti mi sembra di percepire un’atmosfera vintage, glamour e un po’ old fashion: dove prelevi i tuoi soggetti? Hanno un significato particolare?
Tutte le immagini che prelevo sono tratte da giornali e riviste degli anni ’50, ’60 e ’70, un lavoro di attenta ricerca all’Archiginnasio di Bologna. L’immagine retrò mi interessa di più rispetto a quella contemporanea, meno diretta, proprio per il mistero e in quanto mi permette di ricreare situazioni lontane. Sono alla ricerca di una narrazione che si avvicini maggiormente al costume
Le forme leggere, sintetiche e astrattive appaiono di chiara derivazione pop, la mobilità percettiva degli sfondi rimanda all’arte optical, alla decorazione, il minimalismo e la moda… condividi la sinergia di questi referenti?
Sì certamente, soprattutto della pop mi piace l’attenzione per le forme stereotipate e lo stereotipo in generale, l’optical mi serve per creare una serie di piani, da cui i personaggi entrano ed escono, come negli ultimi lavori, poi alla fine mi interessa ricreare un’atmosfera colorata e accattivante cui ambientare queste situazioni narrative.
La leziosa gamma cromatica, con una predilezione per i rosa-confetto, come per esempio nei manga, si riferisce ad un immaginario ben preciso?
La gamma dei rosa è la mia preferita perché conferisce una dimensione particolare a questi soggetti, è un colore molto leggero e accattivante e soprattutto mi dà un’idea di confezione, di patinatura: in realtà non ho mai pensato ai manga giapponesi ma solo ad un’idea di confezione.
A livello compositivo adotti una tecnica ‘analitica’, con sfasature di piani, silohuettes che fuoriescono dai bordi,
Essendo lavori narrativi i soggetti sono in movimento, cerco una mobilità tra il fondo e i personaggi; gli ultimi soprattutto sono più dinamici e rimandano ad una ricerca sullo spazio. L’opera è costruita su tre piani diversi dati da tre segni diversi, fortemente caratterizzata da una narratività quotidiana legata al passato. Una quotidianità retrò portata in un contesto grafico e una forte valenza oggettuale data soprattutto dal ricamo e dai bordi dipinti: questo terzo piano ricamato fuoriesce idealmente dalla superficie e sporge dalla tela.
Perchè parli di narratività? C’è la volontà di raccontare una storia?
Più che la volontà di raccontare storie mi interessano le situazioni che si possono incontrare: uniti, questi lavori dialogano tra loro, sono tante possibilità che fanno parte di un unico immaginario…
Sagome ritagliate, corpi tronchi senza testa, oggetti che sembrano attivarsi da soli e sfuggire al nostro controllo. E’ rintracciabile un fondo di cattiveria in questi interventi?
Per rompere questa struttura stucchevole e leziosa inserisco dei personaggi che hanno qualcosa che non funziona, per creare un’interruzione tra opposti. Trovo più forti quei lavori in cui si tende a cercare una sorta di ‘pace’ nascosta e di apparente tranquillità che poi l’immagine ribalta.
Sei giovanissima e con una serie di conferme e nuove occasioni espositive: cosa stai preparando per l’immediato futuro?
Da poco ho partecipato ad “Icerberg” e ad una collettiva curata da Angelo Capasso allo Studio Cannaviello di Milano, a giugno parteciperò ad un’altra collettiva sulle artiste donne in Emilia Romagna a cura di Alberto Zanchetta ed infine ad ottobre avrò una personale a Parigi a cura di Viola Emaldi.
bio
Silvia Chiarini è nata nel1978 a Faenza, vive e lavora tra Faenza e Bologna.
Tra le principali mostre collettive ricordiamo: 2001 “Carta”, galleria No Code, Bologna;
2002 “Arte in contemporanea”, a cura di O. Corradini, spazio Arte al contrario, Modena; “Quotidiana 02” a cura di V. Baradel, G. Bartorelli, S. Schiavon, Museo Civico, Padova; 2003 “Metamorfosi” a cura di A. Capasso, Studio d’Arte Cannaviello, Milano; 2003 “Rama” a cura di A. Zanchetta, res. I Gemelli, Brescia
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