Che formazione hai?
Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia che da sempre frequenta il mondo dell’arte. Ho avuto modo di relazionarmi quotidianamente con pittori, scultori, critici e collezionisti. Poi mi sono laureato in storia dell’arte contemporanea alla Sapienza, seguendo le lezioni dei professori Di Giacomo e Zambianchi, cui oggi riconosco il merito di non aver ingabbiato il mio pensiero. La fotografia è stata una scelta successiva e relativamente recente. In quel momento rappresentava la cosa più lontana dalla mia vita ma anche la tecnica più immediata cui potessi accedere per affermare una mia autonomia espressiva, per esprimere con immagini alcune tematiche che sentivo esplodermi dentro. A oggi mi considero un buon autodidatta. Ho imparato sul campo: nella mia casa-studio c’è un armadio con tutti i miei sbagli e un piccolo cassetto in cui conservo i negativi rappresentativi della mia poetica.
In tre righe come presenteresti il tuo lavoro?
Farei così: disporrei queste tre righe su una superficie piana a formare un grafico ortogonale xyz.
Quello che mi riconosco come un pregio è la capacità di rinnovare la forma mantenendo il baricentro nei contenuti. Anche se alcuni dicono che questo potrebbe essere il mio difetto.
Il tuo pantheon di riferimento?
Emilio Cafiero, Gerhard Richter, Roger Ballen, Michelangelo, Gilbert & George, Kounellis, Jeff Koons, Antonello da Messina, Ettore Guatelli, Bronzino, Rembrandt, Canova, De Kooning, Duchamp, Bresson, Enrico Ghezzi, Fassbinder, Herzog, Antonioni, Fellini, Jonh McEntire, Battiato, Chris Cunninghum, Boltanski… Forse è meglio smettere, più ne scrivo più ne dimentico.
Arti visive e attualità socio-politica in che rapporti sono?
Sia l’arte che la nostra attualità socio-politica sanno che devono tenere la testa bassa per tutte le marachelle commesse. Per quello che mi riguarda due mie opere le ha acquistate un senatore, e questo mi sembra già un grande risultato.
Sei soddisfatto di come viene interpretato un tuo lavoro? In che rapporti sei con chi scrive d’arte?
Ti sembrerò cinico ma spero si capisca il senso profondo di quanto sto per dire. Secondo me a un certo livello non c’è migliore interpretazione di un lavoro che non sia il suo acquisto. È ovvio che non tutti possono acquistare un’opera d’arte e che, soprattutto, non tutti possono acquistare alcune costosissime opere d’arte, quindi capisco quanto sia discutibile questo mio modo di pensare, che è riferito squisitamente a quello che io individuo come principale sistema di qualificazione di un’opera inserita nel “mercato dell’arte”. D’altro canto devo pure confessare che le migliori interpretazioni vengono spesso fornite da chi non si occupa affatto di arte. Con i critici e con la stampa mantengo ottimi rapporti, non sono ancora sufficientemente famoso per potermi permettere dei nemici.
Come avviene nel tuo caso l’approccio al lavoro?
Ho due modi di lavorare. Il primo, quello che prediligo come uomo, è legato al camminare. Alcune mie immagini traducono circostanze del mondo in cui riconosco un qualcosa che mi riporta alla mia natura profonda di essere umano. Confesso però che quando parto non lo faccio mai volentieri: i viaggi mi costringono a vedere cose profonde e dolorose, mentre a casa, nel mio studio, dove sto bene con me stesso, produco un altro tipo di immagini, più cerebrali, più intellettuali forse. Per l’ultimo ciclo di lavori Seminario sull’infanzia ho trovato un compromesso: costruivo dei set assumendo a studio grandi strutture industriali abbandonate. Ora vivo tra Milano e Roma ma sto per aprire il mio primo vero studio a Berlino. Spero di renderlo attivo per la fine di agosto.
Quale la mostra che non scorderai?
Sicuramente la prima, a Milano. Una piccola personale in una stanza d’albergo. La ricordo veramente bene: fu la prima volta che degli sconosciuti espressero dei giudizi sul mio lavoro.
Un artista che ritieni particolarmente bravo?
Qualche settimana fa sono andato a trovare in studio Pierluigi Febbraio, un mio coetaneo romano. Ho avuto l’impressione che in lui ci fosse poesia e ho visto nei suoi nuovi lavori una crescita formale incredibile; se avrà la forza di insistere e la fortuna di trovare dei validi sostenitori credo possa fare grandi cose.
Un’ultima battuta?
Approfitto e la sparo grossa: posso propormi per una copertina di “Exibart.onpaper”?
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In bocca al lupo Simone.
forza simone
Il tuo continuum di consapevolezza tanto dà a chi è appassionato d'arte, grazie.
Non dimentico quella commozione di fronte alla tua autenticità d'artista.
Con una mano sul cuore.
E.
complimenti, bella intervista, sincerità e consapevolezza
Un giorno, il "Signor Qualcuno", disse:
"'E' sempre all'imperfetto dell'obiettivo che coniughi il verbo fotografare.'
Un'immagine, un odore, una musica in tre tempi mi bastano perchè riaffori in me un ricordo personale"
Bravo...
...
complimenti simone, dall'intervista si intuisce la tua intelligenza d'animo
Quando le raccomandazioni e i calci nel c*** non contano insomma...
le parole di un artista sincero.
grazie.