Categorie: parola d'artista

exibinterviste – la giovane arte | Thetvboy

di - 15 Aprile 2005

Sei apparso sulla scena milanese nel ’96, con la tag Crasto e pezzi dal taglio nettamente figurativo. Nel purismo terminologico dei graffiti, ti definiresti più writer o aerosol artist?
Se devo essere sincero, nessuno dei due! Quando avevo sedici anni, ho realizzato dei “pezzi” nello stile tipico dei graffiti, ma, sinceramente, la mia vera formazione è stata un’altra: la pittura all’Accademia di Belle Arti di Bilbao e, ancor più, la grafica alla facoltà di design di Milano, dove sono rimasto come assistente.
Mentre studiavo e realizzavo i miei primi dipinti e progetti grafici, ho sentito l’esigenza di restituire il mio lavoro alla strada. Ciò che più mi ha spinto è stato un senso di profonda insoddisfazione per l’ambiente dell’arte contemporanea. Non nego che, all’inizio, a spingermi sia stato anche uno spirito di emulazione, ma, chiaramente poi tutto è sfociato in un discorso personale. Molte sono state le soddisfazioni dipingendo per strada e molti gli errori, ma, se non avessi sbagliato, non avrei imparato molte cose preziose.

La tua firma più riconoscibile è legata a vari personaggi con la testa incapsulata in un televisore. Non a caso, sei noto come “the tv boy”. Pensando all’escalation che la cosiddetta “propaganda” o “street art” hanno avuto di recente, mi chiedo se non sia il parto naturale di una generazione cresciuta a pane e tv…
Sì, passando a dipingere per strada, ben presto, ho sentito l’esigenza di semplificare le figure sino a ridurle all’essenziale, in modo da poterle realizzare in pochissimo tempo. Io credo che disimparare, a volte, sia più difficile che imparare. Comunque, da questo progresso è nato il personaggio “the tvboy”, che oggi è una sorta di mio alter-ego e, allo stesso tempo, un “logo” facilmente riconoscibile.

In effetti, questo personaggio rappresenta la mia generazione, cresciuta a cavallo tra i ‘70 e gli ‘80, guardando i cartoni animati e collezionando le figurine della Panini. Non sono un sociologo, ma non è poi così difficile vedere un legame con questa forma espressiva, che molti chiamano “street art”.
E’ anche vero che la nostra è stata una generazione che ha accusato fortemente le pressioni del marketing e delle logiche pubblicitarie; molti di noi sono cresciuti nei centri sociali. Io credo che il movimento no-logo stia sfociando in una forma di movimento neo-logo: se ognuno di noi potesse avere un logo proprio sarebbe un mondo più democratico di immagini globali! Io non amo fare pubblicità a nessuno, odio gli indumenti con grosse effigi e preferisco abiti taroccati, o prodotti dai miei amici.

Progressivamente, al monitor si è affiancata l’immagine di una scatola, che allude all’idea del contenitore, in una forma più semplice e, per così dire, concettuale. Tu stesso la definisci un “logo”: come a dire che la realtà è convalidata esclusivamente dall’imprimatur televisivo?
No, in realtà, molto più semplicemente, la mia necessità e quella di trovare nuovi elementi da affiancare al mio personaggio e, tempo fa, ho disegnato una scatolina. Il significato simbolico era assolutamente libero: un regalo, il simbolo del consumo, eccetera. E’ bello che ognuno possa attribuirgli il proprio.


Istintivamente, i tuoi soggetti mi rimandano al fenomeno dilagante dei reality show, che proliferano su tutte le reti e nelle salse più disparate: è un’incarnazione della tua profezia? L’individuo è, ormai, completamente immerso nell’infosfera?

Effettivamente, molte persone vedono nel mio lavoro uno spirito polemico nei confronti del tubo catodico che, in realtà, è assolutamente lontano da me. Devo ammettere di essere seguace di alcuni programmi televisivi: anche se spesso il lavoro non me lo permette, cerco sempre di non perdermi i Simpsons e apprezzo altri programmi come Blob, Zelig, Brand New, Avere Vent’anni. Io stesso ho realizzato un’intervista che dovrebbe andare in onda presto su Sky.
Certo, i reality show non sono un granché, ma, per fortuna, nessuno ancora ci obbliga a guardarli…

Osservando i tuoi lavori, ho colto una chiara affinità con il graffiti style di Barcellona: Pez, Cha, Freaklüb. Come ti è sembrata la scena street locale, rispetto a quella italiana?
Così come io non mi sento parte di nessuna “scena street milanese”, non so dare un’opinione sulla “scena street di Barcellona”, ma posso parlare di singole persone, di individualità con cui sento di avere una forte affinità, sia in termini di gusto estetico che a livello personale. Pez è un amico e un’ ottima persona, i Freaklub fanno, a mio avviso, dei lavori bellissimi e sono anche degli ottimi grafici . Inoltre, adoro Miss Van, artista francese, ma che si è recentemente trasferita a Barcellona. Mi è bastato guardare un suo dipinto per innamorarmi del suo stile e, anche come persona, è squisita e dotata di una virtù ormai rara come la modestia. In generale, della mia esperienza a Barcellona conservo ottimi ricordi: dipingere in pieno centro, in pieno pomeriggio e con la gente che mi guardava e dava consigli.

Il tuo manifesto è una dichiarazione d’intenti, che rivendica l’azione nello spazio pubblico, fruibile da chiunque e non circoscritto a lobbies intellettuali ed economiche. Al tempo stesso, è notevolmente cresciuta l’attenzione del mainstream – cool hunters in testa – per l’arte “urbana” nelle sue diverse accezioni. Pensi che ciò possa comprometterne la spontaneità?
Questo è vero, io penso che si debba fare molta attenzione quando si mette il proprio lavoro nelle mani di un’altra persona. Ma non sono neanche cieco e ottuso! Credo che le sponsorizzazioni, se fatte bene, offrano la possibilità di allargare il proprio pubblico e questo è un bene per chiunque creda nel proprio lavoro e sogni di vivere della propria arte. Più che altro, è un fatto di coerenza con se stessi: non si possono fare le prediche sull’underground e la controcultura, se si accetta il compromesso di lavorare con una multinazionale.
Io mi sono sempre tenuto ben lungi da ogni “ismo”: credo solamente nella libertà di espressione individuale e che, se il lavoro di una persona vale, prima o poi è giusto uscire allo scoperto.

Nata in un circuito decisamente off, la street art è sempre più presente in eventi espositivi “ufficiali”, vedi l’ultimo Urban Edge svoltosi proprio a Milano. Non pensi che sia un trend opposto a quello che la vorrebbe, rigorosamente, on the street?
Io credo, piuttosto, che, in un momento così dominato dal fenomeno delle esposizioni collettive e dalle cosiddette “jam”, sia necessario sapersi ritagliare una propria dimensione individuale.

Come molti giovani street artists, stai per lanciare una linea di merchandising autoprodotto con il tuo marchio. Pensi che, in una società sempre più attenta al look, l’arte deva seguire l’onda e tuffarsi nel fashion design?
Linea di merchandising autoprodotto suona un po’ altisonante per me! Semplicemente, ho realizzato qualche t-shirt e gadget perché credo, come afferma il mio amico Pao, che l’arte debba entrare a far parte della vita comune di tutti i giorni…

bio TvBoy nasce a Palermo nel 1980. Si trasferisce giovanissimo a Milano dove attualmente vive. Studia illustrazione presso la Facoltà di Belle Arti dell’Università del Pais Vasco (Bilbao). Si laurea in Graphic Design al Politecnico di Milano, dove attualmente è assitente di Magazine Design. Ha partecipato a varie mostre collettive all’estero e collabora con alcuni studi grafici di Milano. Ha realizzato numerosi interventi urbani a Milano e a Barcellona.

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The tv boy

intervista a cura di maria egizia fiaschetti

[exibart]

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  • adoro i tuoi disegni
    si troppo bravo davvero
    ti faccio i miei + grandi complimenti TV BOY!

    ladyno|r

  • tv boy devi venire ad infestare anche palermo!!
    o ci offendiamo.

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